L’economia di epoca Neolitica era gestita in forma comunitaria dal clan: prodotti agricoli e capi allevati erano di tutti i componenti del clan.
Il rispettoso sfruttamento della terra imponeva il cambiamento di insediamento dopo un tempo limite.
I pastori alla ricerca di nuovi pascoli divennero presto pastori guerrieri che dovevano trovare e mantenere le aree di loro interesse: perciò andarono incontro a fasi di grave conflitto.
Già in epoca nuragica si sviluppò una cultura pastorizia a dominio maschile, soprattutto fra le popolazioni stanziali legate ai propri insediamenti.
La transumanza comportava lo spostamento alla ricerca di pascoli lontani o verso le alture nei mesi estivi, ma i villaggi non venivano abbandonati.
Gli insediamenti abitativi erano costruiti con una architettura leggera e facilmente riproponibile. Ad un muro circolare fatto con pietre sovrapposte senza legante, fino ad un’altezza di poco superiore al metro, seguiva una copertura di travi di legno e frasche, come ancora si può vedere nei cuìles (ovili) dei caprari sui monti.
Ben altra architettura era dedicata ai luoghi di culto come il nuraghe o alle sepolture come i monumenti megalitici.
Sull’attuale territorio di Dorgali, in epoche differenti, si svilupparono estesi insediamenti antropici lungo la riva sinistra del fiume Cedrino e sulla riva destra alla confluenza del rio Flumeneddu, prima di quello che oggi è l’invaso sul Cedrino. Oltre ai villaggi di Serra Orrios e di Muristène si contano anche numerosi nuraghi monotorri che costellano i bordi e l’entroterra di Iloghe, come di Neulé sulla riva destra.
A Sud Ovest dell’abitato di Dorgali, sotto Istìpporo e Predas de (f)ocu, restano solamente poche capanne di un agglomerato di nuraghi monotorri: il villaggio nuragico Tolói.
Nel corso degli anni Cinquanta del secolo scorso, da testimonianze dirette, sappiamo dello smantellamento di quei nuraghi al fine di riutilizzare le pietre di costruzione degli stessi monumenti per farne materiale lapìdeo con cui edificare case coloniche e muriccioli ‘de bonifica’ in terreni poco distanti.
-“Andaiàmus chin su carru e sa matza de otto chilos: duos corfos a cussos costalinos e si garriât su carru! / Andavamo con il carro a buoi e la mazza da otto chili, due colpi su quelle pietre lunghe squadrate e si caricava il carro”.
Così si abbatteva un importantissimo monumento della civiltà nuragica di cui sopravvive comunque il toponimo: Tolói, a valle del cimitero.
Forse fu visitato dall’archeologo Antonio Taramelli e magari anche da Doro Levi, colui che iniziò gli scavi di Serra Orrios interrompendoli a causa delle leggi razziali fasciste (1938).
L’insediamento di Tolói doveva risalire all’epoca di massima diffusione della cultura nuragica, precedente il 1.500 a. Cristo.
Nessuna base etimologica greca o latina potrebbe fare luce sul toponimo. D’altronde, nemmeno il greco θόλος, –ου (thólos) ‘la tipica costruzione mediterranea’ aveva etimologia fino all’ipotesi avanzata da Giovanni Semerano (OCE, II, p. 119). E tuttavia, l’archeologia ha assunto il vocabolo greco mentre il toponimo sardo precede certamente di alcuni secoli la concezione architettonica della thólos micenea, per non dire della intera cultura ellenistica.
Inclemenze della storia!
<Base etimologica di Tolói sembra essere la voce akk. tulû, telû ‘un sein, une mamelle, un téton / un seno, una mammella, una tetta’ per la forma dell’edificio nuragico.
La figura del nuraghe a thólos o, come si direbbe nel sardo attuale ‘chin sa bòveda a preda de craadùra / con soffitto a pietra di volta’, ripropone due figure ancora sacre nella cultura e nella religione dell’epoca dei costruttori di nuraghi: la concavità uterina, segno di origine della vita e, la convessità esterna della torre che richiama la ‘mammella, il seno, la tetta’. La concavità della caverna, della grotta o della “nurra”, è riprodotta nel vacuus della “domu de jana” come del “nuraghe”. È la simbologia del ventre della Madre Terra.
L’angusto spazio della “domu de jana” e del “nuraghe” ripropone la ristrettezza degli spazi dell’utero materno.
L’ispirazione iniziale della costruzione archetipica sarda riferisce di una società matrilineare in cui la jana (donna) era idealizzata.
È la continuità dell’adorazione della Dea madre dell’epoca Paleolitica che si incrocia con una nuova deità: la luce solare, epifania del Dio sommo. Numerosi sono i nomi di luoghi intitolati al dio sole, che lo si chiamasse Utu (Ottana, Bolotana…), Šamaš (Samassi), Horus (Santóru) o Ra.
Il nuraghe segna l’omaggio al Dio Sole che vive nel tempio della luce, come si riscontra nel radicale nur che ancor oggi, nella gran parte delle lingue semitiche indica ‘luce’.
Tolói, foto di Mariano Sagheddu