Am-ba-yè

Am-ba-yè [amba’jε] (Orosei) Relig. e Mus. Il culto del Dio Toro vive nella polivocalità sarda tradizionale ma, non è l’unica sorpresa.

La venerazione del Toro sul continente europeo è attestata in pitture rupestri fin dalla fine del Paleolitico superiore (vd Altamira, Spagna, 18.500-14.000 e Lascaux, Francia, 17.500).

Alcune raffigurazioni presentano tori partoriti da una dèa di grosse proporzioni a suggerire che il culto del toro discenda dal culto preistorico della Dèa Madre. Di sicuro i due culti convissero per diverso tempo in Eurasia come nel Mediterraneo.

Pròtomi taurine in gesso, risalenti a 7.000 anni prima di Cristo, sono state trovate a Çatal Huyuk [’tʃatal o’jek] nell’attuale Turchia.

Secondo recenti interpretazioni (H. Goettner-Abendroth) la raffigurazione del bovino, con particolare riferimento alle corna, può anche leggersi come ‘calendario lunare’ utile, in una società matrilineare che scopre l’agricoltura, per il calcolo delle semine e per la riproduzione del bestiame, oltre che per il ciclo mestruale delle janas (donne in età riproduttiva).

Per tutti i popoli antichi del Medio Oriente, le raffigurazioni delle corna taurine erano la stessa effigie del dio El, il Dio supremo tanto presente nella polivocalità tradizionale di Orosei.

Per gli Ebrei la venerazione del Toro è attestata nel libro dell’Esodo (32) nella Bibbia.

Fra le lingue più antiche, il sumero amna si rispecchia nell’egizio Amôn ‘sole’ ma il valore originario di amna è ‘toro del cielo’: l’elemento -na significa ‘alto’ (vd akk. elû) mentre il sum. am significa ‘toro’.

Forma allotropa di am è ab o, ab-am che si riscontra in egizio ape, l’antichissimo Apis, il torello che reca il disco solare fra le corna e dava oracoli battendo una zampa.

Il toro è ipostasi di Dio in tutte le culture arcaiche: i culti del continente europeo, del Medioriente, del Mediterraneo, dell’Egitto, assunsero il toro come manifestazione delle più alte divinità dei rispettivi pantheon, riferiti al Dio o Dèa Luna oppure al Sole.

Il significato di divino è perfino identificabile tout court nel toro. La stessa etimologia dell’antico tedesco gud, del gotico guth, si chiarisce con il sum. gud ‘toro’ (G. Semerano, OCE, I, p. 142).

Come divinità agrarie o atmosferiche, il toro, sin dal III millennio a. C., è simbolo della tempesta, ‘le beuglement du taureau a été assimilé, dans les cultures archaïques, à l’ouragan et au tonnerre / il muggito del toro è stato assimilato, nelle culture arcaiche, all’uragano e al tuono’ (Chevalier-Gheerbrant, Dictionnaire des symboles).

Nella civiltà sumerica prima e in quella sumero-accadica poi, il toro è variamente raffigurato e venerato per la sua potenza tanto da assurgere a simbolo di regalità. Gli déi sumeri ENKI ed ENLIL venivano raffigurati in forma taurina e in quelle fattezze erano scolpiti in sigilli e statue.

L’uccisione del toro come appare nelle rappresentazioni è simbolo di morte e di rinascita. Il toro è la stessa effigie del Dio Sole per gli Egizi (vd Apis), mentre presso i Greci Dioniso assumerà spesso le sembianze di un toro (cfr anche il mito di Europa).

Tra gli Egiziani, gli Ebrei ed i popoli del Mar Egeo e le popolazioni limitrofe a questi nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente, le corna del bovino erano affiancate alla raffigurazione della Luna quando questa, nella fase crescente, ha la forma delle corna rivolte verso l’alto. Nelle lingue sumera e accadica luna e mucca si esprimono con la stessa parola warḫa. La prestanza fisica del toro nella riproduzione fu in antichità ‘attributo di divinità’ e, essendo ritenuto il Dio luna ‘fecondatore della Terra’, lo si riscontra ancora nella toponomastica sarda: vd Muru in diverse zone della Sardegna e Murisìnu [muri’šinu] nel suburbio di Dorgali, sito particolarmente ubertoso. Il toponimo ha base etimologica in un composto in stato costrutto accadico (solamente nei testi di origine sumerica) mūru 1) ‘[Campagne – Agriculture] un taureau de reproduction; attribut de divinité / un torello da riproduzione; attributo di divinità’ + Sīn, Sīnu ‘Dieu de la lune, la Lune’ col significato esaltativo di ‘torello del Dio fecondatore’, tale era considerato il Dio luna fra le popolazioni mesopotamiche e mediorientali ma, con tutta evidenza anche fra le popolazioni mediterranee e sarde: ciò che era fecondo era direttamente influenzato dal Dio luna.

Anche nel mondo greco era particolarmente sviluppato il culto del toro: figure taurine sono spesso dipinte in vari manufatti e conosciamo la pratica della tauromachia.

Testimonianze del culto del Dio Toro in Sardegna si trovano, tra le altre manifestazioni, nella polivocalità profana del tenore di Orosei: nella Voche seria, nel Ballu brincu ed anche nello sviluppo della Voche notte antica. La forma di canto Seria corrisponde sempre ad un canto al sole nascente. Nel repertorio del tenore è coniugata in diversi modi: boghe andende, boghe ‘e carru, crapòla, impuddìle, cantu in Lira.

Nel cantu a voche seria di Orosei le desinenze sonore delle tre voci del coro sono am-ba-yè.

La prima sillaba am “wild bull” indica il toro.

La sillaba ba può anche essere la trasformazione di bu “perfetto” come conservato nel cognome sardo Ambu, nome indicante la virilità, ma nel canto del tenore di Orosei, ba fa riferimento al verbo “offrire in dono”, “dividere qcs”, “donare”.

Nella fonazione di alcuni interpreti di oggi la sillaba am conosce apofonia e si coglie come em– e la forte personalità di alcuni interpreti nella parte vocale della mesu-voche impone – anziché –.

Am-ba-yè è ascrivibile solamente al culto del Dio Toro.

Le manifestazioni della Natura come il sorgere ed il tramontare del Sole e della Luna (cfr i termini Seria, Serenada), per l’uomo che definiamo ‘pre-istorico’ erano testimonianza della esistenza di un essere potente e sommo, il Dio Toro.

Nel canto a tenore, nell’inizio dell’articolazione delle voci gutturali am-ba sono le desinenze su cui trovano l’accordo bassu e contra sullo stimolo della voce solista.  Questa divinità nominata nel canto è chiamata in sum. anche piriĝ ‘leone, toro selvaggio’ e si trova in toponimi come Piriùndu, fra Isalle e Orroùle in territorio di Dorgali: un altopiano particolarmente baciato dal sole dal suo sorgere al suo tramontare.

In altri frangenti la divinità solare assume il nome Ra, in sumero ‘fulgido, raggiante, brillante’, mentre in egiziano era il ‘Dio Sole’ e rappresentava il Dio Sole perché la luce ed il calore mandati da Dio erano una delle epifanie della divinità.

Anche Ra vive nel canto di diversi comuni dell’area di diffusione del canto a tenore, nelle desinenze sonore della contra nella parte discendente della parabola che il coro descrive nella boche longa: si confronti bi-m-ba-ra espressione di tanti cantori di diversi comuni e si verifichi nella trasposizione de sa contra di Martineddu Carta o del fratello Tonineddu del tenore di Lodé che accompagnavano Preteddu Nanu.

Anche i cantori orunesi impiegano Ra nel canto de sa crapòla: bi-ra-m-bai, documentato dalle creazioni del tenore Folk studio fino a tutti i cori che eseguono quella forma di canto di Orune. Così anche nella creazione musicale della boghe ‘e carru di Alà e di Fonni e nell’esecuzione del canto Assandìra diffuso in tutto il territorio isolano. L’invito al sole a brillare suona perentorio e ossessivo nella Fanfarra di Buddusò e lo si coglie anche nella boghe andende di Mamoiada e del Montacuto o nel canto Impuddìle di Dorgali.

Rimaneva irrisolto eyè [εj’ε] che si sente nettamente pronunciare da parte della mesu-voche più che dalle voci faringalizzate di bassu e contra del tenore di Orosei, ma si rinvia all’ascolto della contra di Francesco Busu (su ghespe) nei rilevamenti di Giorgio Nataletti e nelle incisioni su 45 giri del 1964.

Dalle ricerche condotte sui dizionari delle lingue conosciute dallo scrivente, (e)yè, come spesso si sente, ma che ricorre anche in forma intera eyè, non trova altro riscontro se non nell’ebraico Ehyeh.

Ehyeh-Asher-Ehyeh, tradotto in italiano come IO SONO, sembra essere uno dei sette nomi di Dio della tradizione ebraica.

In comclusione, il canto a tenore di Orosei citerebbe il Dio Supremo in almeno tre forme del proprio preziosissimo repertorio.

Nella Bibbia si trova numerose volte Ehyeh, qui ci si riferisce soprattutto al libro dell’Esodo 3;14-15, nel passo relativo all’incontro di Mosè con Dio di fronte al roveto ardente.

Ehyeh è nome divino: è il nome che Dio comunica nel dare risposta alla domanda di Mosè su quale fosse il nome del suo interlocutore. Il concetto di ente e di esistente varia a seconda delle lingue e delle culture e ciò rende poco comprensibile l’ebraico Ehyeh. Nell’attuale lingua russa il verbo essere non esiste ed il solo pronome personale Я [ja] indica l’italiano IO SONO.

A un dipresso, la traduzione di am-ba-yè sembra essere ‘io sono il toro offerto in dono’.

L’importanza dei significati contenuti nelle desinenze sonore del canto polivocale ‘profano’ di Orosei spiega perché i moduli espressivi di quella tradizione canora dovettero essere attentamente custoditi nei secoli.

Bibliografia:

-A. Deplano, Bidùstos.

Discografia:

Diverse formazioni di canto a tenore di Orosei eseguono le forme dette Voche seria, Ballu brincu, Voche notte antica con maggiore o minore aderenza al modello intonato da Vissente Gallos e i suoi sodali sia nei rilevamenti Rai che nelle incisioni su dischi 45 giri ed in registrazioni amatoriali. Fra le altre documentazioni sonore indichiamo:

-Cuncordu e Tenore de Orosei: A su primu ispuntare, Cd e Mk, CNI 1996.

-Cuncordu e Tenore de Orosei: Voches de Sardinna, Amore profundhu, Winter & Winter (D), 1998.

– Tenore de Orosei: Cànticos e ballos, Tronos 2006,

-Tenore Vissente Gallos: Cantos de amore, Frorìas 2006

Cuncordu e Tenore de Orosei, Il canto: mare e terra, a cura di Devito L.,  Stampa alernativa, libro e Cd 2008.

© Andrea Deplano 2024

 

 

Immagine tratta dalla World History Encyclopedia (credit commons)

Torna in alto