Tattàju meu

 

 

 

 

 

 

 

tattaju [tat’taju] s.m. Il marito della nutrice o bàlia ‘tattaja’, non ha a che vedere con il significato del ritornello della forma musicale del repertorio del canto a tenore.

Tattàja è in stretta relazione semantica con il verbo tattare, thathare o sassare ‘saziare, alimentare al seno un neonato’.

Mus. Nel canto polivocale profano tattàju meu è forma esecutiva del tenore.

Si esegue su testo poetico stabilito in versi settenari con strofe di cinque versi.

A ciascuna di queste strofe segue un ritornello cantato dalle voci di bassu, contra e mesu-voche, più il solista, in forma omoritmica: l’estensione di cinque sillabe tattàju meu, ripetuta e chiusa da esclamazione iterata di Oddéu!

Non si hanno le solite desinenze sonore del canto a tenore ma, in un accostamento al canto dei gotzos, le tre voci del coro cantano lo stesso ritornello tattàju meu ritenuto, finora, non portatore di significato. Come anche le sillabe ‘non-sense’ di tanti altri canti de su tenore.

Sul piano formale, ogni strofa di cinque versi è composta dai primi tre versi di contenuto. Il messaggio importante è, quasi sempre, inserito nel terzo verso.

Il primo verso è ripetuto come quarto ed il quinto è la retrogradazione del secondo verso di contenuto, come si vede nel seguente esempio:

Tziu Frantziscu Bette             a         

no at secau rette                     a

ca est disamparau.                 b

Tziu Frantziscu Bette             a          ripetuto

rette no at secau                     b          retroga

Le prime documentazioni sonore e discografiche di questo canto risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta del XX secclo ma poi abbondano nelle produzioni discografiche commerciali dei decenni successivi. La prima attestazione si può ascoltare nell’Archivio del folklore musicale italiano – Sardegna – Nuoro ed è stata rilevata ad Orgosolo.

L’idea più diffusa sulla origine di questo canto è che si trattasse di poema satirico composto per la fine di un fidanzamento: nel passato era notizia sconvolgente per l’intera comunità paesana. Coinvolgeva l’intesa tra le famiglie della coppia. Sa bidda los criticat!

Il pettegolezzo è sempre esistito; oggi si dilata e prolifera nei social e nei mass media, un tempo entrava nel canto delle formazioni polivocali e vi rimaneva durante la vita del bersaglio della satira: spesso superava quella durata temporale.

In realtà, nei testi poetici intonati dal tenore si fa satira su qualunque avvenimento contravvenente alla morale comunitaria che possa essere oggetto di derisione: compresa la balentìa de su miseru.

Mì no ti ponzan camba de cantzone! era avvertimento che veniva dato all’individuo che stava per compiere qualcosa di disdicevole che la poesia popolare, ed il canto, non poteva lasciar correre. Nelle piccole comunità la satira era feroce, spesso costruita sull’antìfrasi per sprigionare maggiore forza.

La vera peculiarità, relativamente ai contenuti, è avere almeno un individuo bersaglio di satira. Nell’intonare il testo de sa cantzone non si annuncia l’autore delle parole di scherno. L’anonimato della satira garantiva sia il compositore che il propagatore della poesia. Solo lo sgarro alle regole comunitarie, che aveva prodotto lo ‘scandalo’, doveva innalzarsi ad insegnamento e monito per tutta la collettività. Nel ridere del malcapitato si affermava la morale comunitaria.

La satira poteva essere diretta, come un pugno allo stomaco, oppure essere vestita di metafora (in cucuzàntzia), facilmente svelabile dai componenti della esigua popolazione del villaggio.

Il parlare ‘al contrario’, tipico delle popolazioni di numero ridotto, presuppone che esista una norma convenzionale della comunicazione e la possibilità, accettata da tutti, di capovolgere il senso delle parole. L’aggettivo pittìcca in campidanese significa ‘piccola’ ma, se un individuo esclama ‘Pittìcca sa dommu!’, intende il senso esattamente contrario: ‘È enorme questa casa!’.

Il significato nascosto di tattàju sembra essere un’antifrastica di una parola sumerica:

da3-da3 ‘to be fierce / essere fiero, feroce, crudele, selvaggio’ ma anche ‘ardente, eccessivo’ + -ju desinenza aggettivale.

Nella catena fonosemantica il suono dentale sonoro [d] diventa dentale sordo [t]: dada > ta(t)ta, con raddoppiamento della consonante -t- agglutinata.

L’antifrastica di Tattàju meu continua l’adagio castigat ridendo mores.

Bibliografia:

-A. Deplano, Tenores, 1994.

-A. Deplano, Rimas, 1996.

-A. Deplano, DED, 2020.

Discografia:

cfr i brani raccolti nell’Archivio del folklore musicale italiano – Sardegna – Nuoro e vd le produzioni discografiche delle diverse formazioni polivocali di Orgosolo e del Tenore Milìa di Dorgali.

© Andrea Deplano 2024

 

mk autoprodotta 1981

Lato B 4° brano Attìttos

Tenore Milìa Dorgali

 

Boche              Tattanu Milìa

Bassu              Fabio Lai

Contra             Mario Ungredda

Mesu-‘oche     Tottói Fancello

 

Per ascoltare il brano “Tattàju meu”:

 

Foto tratta da copertina mk autoprodotta nel 1981. Immagine originaria di Angelo Mereu

 

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