Mutta

 

 

 

 

 

mutta [’mutta] s.f. Nella cultura sarda della tradizione mutta è parola multiuso e densa di significato in numerosi àmbiti della produzione materiale come culturale, poetica, musicale.

1 Psicol. Disposizione d’animo. Ispirazione. Il vocabolo è ancipite. Bona o mala mutta [’bɔna o ’mala ’mutta] Buona o cattiva disposizione d’animo. cfr la quartina Comare Sebastiana / est trista e de mala mutta

2 Gastron. Nel lessico della gastronomia ci si imbatte nel termine mutta quando si mette a scaldare il formaggio fresco di qualche giorno, leggermente acidulo perché non entrato nella salamoia, e si aspetta che dentro il tegame inizi a sciogliersi e a filare. Diventerà il ripieno della seàda ma solo a condizione che fili. Il momento in cui lo scioglimento consente che la pasta del formaggio fili si chiama sa mutta de su casu volendo intendere la muta, il cambiamento di stato da solido a quasi sciolto.

Il sostantivo italiano muta, quando legato alla voce umana, indica il momento in cui la voce dell’adolescente inizia una fase di transizione dalla puerizia alla età adulta e in sardo si esprime come muda, dal verbo mudare ‘mutare, cambiare’. È lo stesso vocabolo con cui si indica il cambio di pelle da parte di alcuni rettili come anche del piumaggio dei volatili nei mesi di settembre-ottobre: la muta delle galline.

3 Poes. e Mus. Nessuno sarà mai in grado di affermare da dove scaturiscano le parole che compongono i versi delle ottave rimate di endecasillabi prodotti all’impronta dai poeti estemporanei.

È il mistero della creazione poetica!

Enzo Espa e Massimo Pittau, nei rispettivi dizionari, dànno come traduzione del termine mutta ‘estro, ispirazione’. La gran parte dei dizionari o vocabolari non tratta questo lemma o ne fornisce altre, devianti, semantiche (vd ai punti 1 e 2).

Il nome mutta compare fin dal XIX secolo negli studi di poesia di Vittorio Angius e di Giovanni Spano.

La sua accezione fantasiosa, da cui deriva la possibilità per un poeta estemporaneo di cantare ispirato in bona mutta, oppure di cantare senza estro per la presenza de sa mutta mala, si estende con pari significato per un cantore popolare che fornisce la buona o cattiva esecuzione della propria capacità vocale creativa, subordinata alla assistenza benevola o malevola della mutta.

Ne risulta una presenza impalpabile, quasi una divinità invisibile.

Fin qui si è pensato a sa mutta come ad una dèa ispiratrice comunque capricciosa, tanto che il termine ha rivestito la forma ancipite di buona o cattiva.

Personalmente avevo difficoltà a capire tale presenza o assenza nel canto polivocale ‘a tenore’. Condizioni fisiche e mentali positive garantiscono benessere e questo favorisce la migliore creazione di un artista cantore.

Il fatto che il termine fosse comune a poeti improvvisatori e a cantori popolari nelle parti di bassu, contra, mesu-voche e boche della formazione a tenore sembrava confondere ancora di più le significazioni possibili. Tanto che nessun linguista avanzò mai alcuna ipotesi etimologica di mutta nel senso che consideriamo in questa sede: si limitavano alla significazione condivisa da Espa e Pittau.

La base etimologica di questo termine sardo al significato 3 si individua in un’agglutinazione in lingua sumerica: mu ‘to make a sound / emettere un suono’, ma vale anche come ‘word / parola’, a cui si agglutina tal ‘to be broad / essere ampio, largo, vasto’; mu-tal > mutta, con raddoppiamento della prima consonante agglutinata (-t-) e caduta del suono liquido finale (-l), assume il significato complessivo di ‘abbondanza di suoni’ e ‘abbondanza di parole’.

Il primo significato si attaglia alla produzione di suoni dei canti polivocali mentre il secondo giustifica la ‘facondia’, l’abbondanza di parole della poesia improvvisata.

In lingua accadica la parola mūtamû, in cui – indica ‘sound / suono’ eome anche ‘word / parola’, ha continuità nel lat. muttĭo, isīviītumīre ‘Parlo, mormoro, brontolo, cigolo’.

È rilevabile lo spostamento semantico del verbo latino che ha finito per significare in sardo ‘giamare, cramare, lamare, lamai’ nel parlare di molti comuni isolani.

La parola accadica mūtamû indica esattamente ‘facondo, redegewandt, eloquent, éloquent’ (OCE, II, p. 479).

La facondia è propriamente la ‘abbondanza e facilità di parola’, ciò che deve caratterizzare il poeta estemporaneo logudorese nel certame dialettico della disputa. Nella stessa misura, l’abbondanza di suoni deve caratterizzare la produzione canora degli interpreti del canto polivocale.

Bibliografia:

-A. Deplano, Tenores, 1994.

-A. Deplano, Rimas, 1996.

-A. Deplano, Dizionario Etimologico Dorgalese, 2020.

-P. Pillonca, Chent’annos, 1996. Di questo autore si segnalano anche altri titoli fra cui le raccolte di poesie di vario genere di R. Piras e di P. Sozu.

© Andrea Deplano 2024

 

Bernardu Zizi e Andria Deplano in una foto di Paola Capra

 

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