ispentuma [iš’pentuma] s.f. Territ. Luogo desolato e privo di risorse. Dirupo. Abisso. La definizione non è di natura Geol. Nell’immaginario collettivo è il luogo dove gli individui andavano, o erano condotti, a morire d’inedia o per dirupamento. Sulla seconda ipotesi non si hanno testimonianze e si pensa che il precipitarsi fosse la scelta – obbligata – del malcapitato.
-adorzu [išpentuma’dordzu] s.m. Dirupo in cui scaraventare o precipitare.
-are [išpentu’marε] v. tr. e intr. (aus. àer) Antropol. Dirupare. Scaraventare. Precipitare. Allontanar/si o isolarsi per lasciar/si morire. Condurre a s’ispentuma.
Mitol. Si racconta che un giovane, un giorno, si caricò in spalla il vecchio genitore per condurlo a morire lontano da casa sua mancando di mezzi di sostentamento.
Ad un certo punto del percorso si fermò e depose l’anziano padre per concedersi del riposo. Il padre lo osservò e, in modo serio, gli disse: “Jeo puru, cando ch’appo accumpanzau a babbu miu a s’ispéntuma, mi soe frimmau a pasare propiu inoche” [jeo ’ꝑuru | kaŋḍo k app akkumpan’dzau a babbu ’miu a ss iš’pentuma | mi šoε vrim’mau a pa’šarε prop i’noχε] “Anche io, quando accompagnai mio padre a morire di inedia, mi fermai a riposare proprio qui!”
Il giovane, colpito dalle parole del vecchio padre e conscio che un giorno sarebbe toccata a lui la stessa sorte, ricaricò il genitore sulle spalle e fece ritorno a casa.
È uno dei rari miti positivi fra le leggende della Sardegna. Era raccontato dagli anziani per garantirsi la custodia in casa da parte dei figli. L’aspetto curioso è che non si parla mai di madre anziana, forse era una società matriarcale?
-au [išpentu’mau] Part.pass. nei significati del v.
spentumu [spen’tumu] s.m. camp. Precipizio. Voragine.
<cfr log. e nuor. pentuma ‘voragine, precipizio’ con base etimologica in akk. patû, petû ‘aprire, spalancare, sfondare’.
Nel campidanese esiste anche un altro termine, babbaièca, per Mario Puddu ‘sa roca de su scabiossu, de aundi in s’antigóriu nanca nci ghetanta is bècius po dhus fai mòrriri’.
Per babayècca [baba’jεkka] S. Dedola propone invece una derivazione da Babay ‘old man’ ricorrente nel Sardus pater Babay + akk. ekû col significato di ‘privarsi del padre’ (akk. ekû ‘impoverito, orfano, in lutto’).
La parola babayècca consente di ottenere alcune chiarezze ma non ci informa sul modo in cui l’anziano padre bab(b)ay doveva affrontare la fine dei suoi giorni terreni.
Il geronticidio – e non già il parricidio – era pratica diffusa fra le popolazioni antiche di tutto il pianeta. Qualche volta avveniva per brutale dirupamento, altre volte era l’allontanamento volontario dell’anziano dalla famiglia, dal clan o dal villaggio in cui il vecchio ‘improduttivo’ si sentiva di gravare sul resto della popolazione a causa delle ridotte scorte alimentari del gruppo etnico.
Oggi inorridiamo all’idea che un anziano sia definito ‘improduttivo’ e sia ritenuto un ‘peso per la comunità’.
Fra molte specie animali succede che l’anziano si sacrifichi per la prosecuzione della colonia. Quando il maschio anziano sente avvicinarsi la morte, abbandona il branco e si allontana alla ricerca di un luogo dove poter morire indisturbato.
Nelle società umane dei primordi, la penuria alimentare produsse forme di autodifesa del gruppo, proprio ad imitazione dei comportamenti animali. Per lungo tempo la ‘creatività’ dell’uomo è stata ‘imitazione’ di quel che era osservabile in natura.
I fumetti di Tex illustrano queste consuetudini fra i nativi del continente americano. Fenomeno che si registrava anche in diverse nazioni asiatiche.
La seconda parte della parola legata a quella che si conosce soprattutto attraverso il sardus pater Babay è -ècca. Spesso in lingua sarda è suffisso di tipo sostantivale ma in questo caso proprio no!
Questa parola trova riscontro nel dizionario di lingua accadica con diversi significati di cui si può, comunque, fare sintesi:
ekû 1) 1) appauvri, démuni, réduit à la misère; 2) privé, dépossédé; 3) souvent au féminin ekūtu: orphelin; 4) nom d’une classe sociale: les pauvres, les indigents, les défavorisés / 1) impoverito, sprovvisto, ridotto in miseria; 2) privato, espropriato; 3) spesso al femininile ekūtu: orfano; 4) nome di una classe sociale: i poveri, gli indigenti, gli svantaggiati.
ekû 2) terre, personnes …: priver de nourriture, d’eau …, affamer, assoiffer; ukkû ša zunni: un manque de pluie, un défaut de pluie, une pénurie de pluie, une sécheresse (?) / terra, persone …: privare di nutrimento, di acqua …, affamare, costringere alla sete; ukkû ša zunni: una mancanza di pioggia, una scarsità di pioggia, una penuria di pioggia, una siccità (?).
ekû * un orphelin / un orfano.
ekûtu 1) l’appauvrissement, la paupérisation, la misère, la privation, l’épuisement (?), l’action de trop puiser (?), l’action de vider (?), cerveaux, ressources …: la fuite (?); 2) : le fait d’être orphelin, l’orphelinat / l’impoverimento, la pauperizzazione, la miseria, la privazione, l’esaurimento (?), l’azione di attingere troppo (?), l’azione di svuotare (?), cervelli, risorse …: la fuga (?); 2): il fatto di essere orfano, la condizione di orfano.
Se il verbo ispentumare indica propriamente l’azione di allontanare (disterrare) dal gruppo di appartenenza il Babay, costringendo a morte sicura l’individuo in un luogo desertico, -ècca definisce le condizioni del vecchio.
L’uomo anziano indigente ridotto alla fame e alla sete, privato di nutrimento e acqua, in un luogo sprovvisto di risorse.
Il significato dell’atroce fine dell’anziano sardo si compie fra il senso di ispéntuma e di babayècca. Le riflessioni possono vertere su diverse direzioni: un tempo esisteva l’idea che il padre potesse essere orfano di figli/o. In lingua italiana il significato si è ristretto unicamente al genitore che perde il figlio: non viceversa. In lingua sarda e in lingua francese sopravvivono orfanìa e orphelinat che traduciamo con ‘la condizione di orfano’: in italiano manchiamo di tale sostantivo e anche questo costringe la comprensione della antica parola accadica.
La seconda considerazione è relativa alla natura geologica del luogo in cui avveniva il trapasso. S’ispentumadorzu è sempre un luogo arido e privo di risorse e, ogni villaggio di Sardegna ne annovera almeno uno. Ciò va messo anche in relazione al processo della scarnificazione del cadavere lasciato a servire da pasto agli animali selvatici, prima di essere deposto nelle allées couvertes che un tempo si chiamavano preda lada o tumba de sos mannos ed oggi ‘tomba dei giganti’.
In ekû 1), infine, si legge un altro significato fra le 4 accezioni proposte: l’appartenenza del Babay alla classe sociale dei poveri, degli indigenti, degli svantaggiati. Gli abbienti dovevano avere altra sorte ed altra sepoltura: niente di nuovo sotto il sole.
Bibliografia:
-S. Dedola, Faeddarzu.
-A.Deplano, DED.
-https://www.assyrianlanguages.org/akkadian/index_fr.php.
© Andrea Deplano 2024
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