Irborróschiu [irbor’roškiu] s.m. Mus. È possibile pensare ad un’armonia dissonante nel canto polivocale a tenore?
Sembra quasi un ossimoro, stante l’abitudine, ormai pluridecennale, di costruire armonia aggraziata e dolce nella tessitura dell’accordo delle parti vocali del canto a tenore in cui le voci ‘suonano insieme’. L’imperativo odierno è eliminare le asperità del suono e rendere quell’impasto vocale morbido e vellutato. E, tuttavia, anche in una produzione consonantica, esiste la possibilità che l’armonia si presenti in forma dissonante.
Le voci entrano in contrasto l’una con l’altra e si produce una sonorità aspra e ruvida all’orecchio dell’ascoltatore nella definizione del tappeto di suoni che si ottiene con la successione de sos corfos delle voci gutturali della contra e del bassu. La mesu-voche ammanta con le sue ornamentazioni le due voci gravi anziché incidere con suoni faringalizzati.
Come le mani sulla tastiera di un pianoforte possono agire in modo schizofrenico, così bassu e contra possono percorrere traiettorie di suono assai diverse e riuscire a incontrarsi, comunque, in alcune sillabe sonore di quella creazione musicale.
È quanto accadeva nel modo di cantare in voga fra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso in buona parte dei comuni dell’area di diffusione del canto a tenore. Si chiamava ‘cantu a irborróschiu’ ed è oggi un ricordo lontano, condiviso fra appassionati di canto a tenore almeno sessantenni.
Risultava un canto assai poco lineare rispetto alla confezione che, fin dagli anni Cinquanta si costruiva in alcuni comuni mentre in altri è attestato a partire dagli anni Sessanta.
Non mancano, però, esempi di continuazione di quella espressione canora dissonante in formazioni di cantori di comuni del Marghine, del Gocéano, della Baronia: vedasi in proposito le produzioni discografiche di Bono, Burgos, Siniscola – ascoltabili nelle musicassette prodotte nel primo lustro degli anni Settanta – , ma anche i canti di formazioni rilevate a Orotelli e Dorgali fino agli anni Ottanta.
M. L. Wagner metteva in relazione il termine irborróschiu con il ‘liberare il cavallo da su broccu’ ma è interpretazione del tutto slegata dalla semantica. Irborrocare è detto di ‘fuoruscita d’acqua di largo diametro’ e il verbo, nel linguaggio quotidiano assume significato di ‘erompere’.
Alla base del termine irborróschiu c’è il sema –borro- e, in logudorese esiste ancora il verbo borrare per dire ‘muggire’, ‘mugghiare’, come anche borro per indicare l’accompagnamento che le parti vocali bassu, contra e mesu-voche fanno alla poesia estemporanea logudorese. Il prefisso is– è prefisso di azione mentre il suffisso –óschiu serve a costruire sostantivi e verbi di tipo dispregiativo.
Negli anni Sessanta prendeva consistenza la tesi circa l’imitazione dei suoni della natura per giustificare la presenza musicale del canto a tenore. L’ascolto di canti come nel brano del tenore di Bono che proponiamo, favorivano tale credenza.
BONO
Boche Francesco Michele Gusìnu (Zizzu Micheli, noto Mazzone)
Bassu Michele Ruiu (noto Ghèghere)
Contra Francesco Satta (noto Paiólu)
Mesu-‘oche Giovanni Farina (noto Bruvarìnu)
Bibliografia:
-A.Deplano, Tenores.
-A.Deplano, Bidùstos.
-A.Deplano, DED.
-M.L.Wagner, Dizionario etimologico sardo.
Discografia:
Alcune formazioni di canto polivocale arrivavano in sala di incisione con due soli brani, quanti potevano contenersi nei dischi 45 giri prodotti ancora nel primo lustro degli anni Settanta. Agli anni 72, 73, 74 e 75 risalgono alcune musicassette miscellanee che assemblano canti di cori provenienti da diversi comuni dell’area di diffusione de su tenore. Si rinvia alla consultazione della Discografia nel libro Tenores nelle edizioni del 1994 o del 1997.
©Andrea Deplano 2025