Identidades a Tenore

Identidades a Tenore

Tenore Remunnu ‘e locu di Bitti,Tenore de Lodé, Tenore
Mamujada Mazzone, Orgosolo Gruppo Rubanu, Tenore de Orune Folk Studio, Tenore de Orune Santa Lulla, Santa Sarbàna di Silanus

Frorìas, 2001


 

 

Sul finire del XIX secolo si era prodotta una importante trasformazione nelle gare fra poeti improvvisatori del Logudoro. Il cambiamento spingeva con forza anche in altri campi della produzione musicale sarda, ma non in tutta. Il canto polivocale “a tenore” continuava a perpetuare i propri stili di canto senza alcuna apertura al cambiamento, in particolare nei comuni, come Orosei, in cui individui che cantavano il repertorio liturgico e paraliturgico, organizzati come Crofàrios, garantivano anche la prosecuzione dei moduli della tradizione del canto profano “a tenore”.
Circa vent’anni dopo, il canto “a tenore” aveva vissuto in un contesto “altro” come veicolo di nostalgico riallacciamento alla produzione culturale isolana organizzando una presenza musicale in cori “estemporanei” nelle trincee durante il primo conflitto mondiale. Evidente testimonianza dell’attaccamento dei Sardi alle proprie tradizioni, a sottolineare il carattere spontaneo in cui questa espressione prende forma.
Nel 1923 alcune persone di Oliena si recarono al Vittoriano, a Roma, su invito di Gabriele D’Annunzio e di Gavino Gabriel. L’avvenimento è importante perché segna, ufficialmente, la rappresentazione scenica del canto a Tenore, in epoca contemporanea, in un contesto assai differente da quello del paese barbaricino, in cui per secoli si era riprodotto per il desiderio di socializzazione, per il piacere di fare canto in comunione, per la passione e l’attaccamento alle forme della tradizione “sempre conosciuta”.
L’esposizione ad un pubblico ed al giudizio di riconosciuti esperti delle forme espressive del canto si rinnovava ogni due anni a Fonni dove, su iniziativa e finanziamento di alcuni pastori abbienti, si tenevano competizioni di canto a tenore, a cuncordu, a chitarra e di poesia estemporanea. Si confrontavano i migliori interpreti delle forme espressive tradizionali. Per il 1926 abbiamo raccolto testimonianza diretta della persona ritenuta ‘migliore interprete’ di canto “a tenore” e “a chitarra” a Fonni: Agostino Erittu di Dorgali.
Il contesto si fece ancor più diverso nel 1929 per quattro cantori dorgalesi, nel chiuso di una grande sala vuota di pubblico, a Milano, costretti a cantare fisicamente distanti, separati, ognuno relegato in un angolo della sala. Il solista aveva voce tanto squillante da essere invitato a cantare con la faccia rivolta verso il muro, voltando così le spalle alle tre voci del coro.
Fu una grande violenza.
Ogni cambiamento che determini trasformzioni importanti, fino ad alterare il modo di confezionare l’espressione codificata da sempre, i tempi di creazione, i luoghi di produzione, i linguaggi, produce una lacerazione irreversibile nella storia identitaria di una collettività e dispone l’apertura di nuovi percorsi.
Anche il canto monodico logudorese con la chitarra aveva conosciuto modificazioni importanti grazie all’opera innovativa di tanti interpreti fra cui Gavino De Lunas.
Né era rimasto integro quell’immenso patrimonio coreutico-musicale dopo l’introduzione della fisarmonica e dell’organetto diatonico fin dagli ultimi decenni del XIX secolo.
Nel corso degli anni Cinquanta del XX secolo sbarcarono in Sardegna numerose persone attirate dalla curiosità di conoscere il patrimonio delle tradizioni popolari e musicali isolane. Le inchieste di quegli studiosi iniziarono nel 1950 e si protrassero fino al 1973. Certamente le ricerche non si esaurirono. Forse iniziarono solamente.
Di sicuro la produzione musicale isolana fu oggetto di attenzione in un momento di grande travaglio vissuto fra l’aderenza a moduli interpretativi ereditati da epoche remote e l’apertura verso nuove forme di proposizione delle melodie popolari rielaborate da interpreti che, anche grazie alla diffusione attraverso i nuovi mezzi, frutto delle innovazioni tecnologiche, riuscirono a trovare gradimento fra un vasto pubblico.
Il patrimonio etno-fonico sardo si presentava in pieno marasma evolutivo agli occhi di Giorgio Nataletti, Felix Karlinger, Franco Cagnetta, Andreas Friedolin Weiss Bentzòn, Diego Carpitella.
Le registrazioni magnetiche effettuate sul campo, gli studi sui materiali raccolti, la timida diffusione in incisioni su vinile, prodotti nell’arco di quel decennio, costituiscono un fondamentale deposito di preziose informazioni sul patrimonio etno-fonico della nostra isola.
Occorre sfatare un mito che prosegue nella scarsa informazione di molti in merito alla presenza nell’isola dell’etnomusicologo americano Alan Lomax: questi non ha mai messo piede in Sardegna. Percorse l’intera penisola insieme a Diego Carpitella alla ricerca di interessantissime forme di espressione popolare nel folklore di ogni regione italiana fino al dicembre del 1954, quando fece ritorno negli Stati Uniti. Diego Carpitella fu invitato in Sardegna da Franco Cagnetta che da qualche tempo si trovava in Barbagia e, nel gennaio del 1955, l’antropologo autore del libro Banditi a Orgosolo fu raggiunto dall’etnomusicologo Carpitella.
Per decenni il canto “a tenore” aveva vissuto quasi come un carbonaro la relegazione in ambienti di assai scarsa visibilità. Accomunato ad altri generi artistici soffrì le leggi sull’ordine pubblico nel periodo fascista: tacevano le voci dei poeti improvvisatori come le voci dei cori de su cunsònu. Se non si creavano versi capaci di affascinare il pubblico delle gare non si possedevano versi da eseguire nei canti a boche ‘e notte, nelle modulazioni a sa seria o a corfos.
Il coinvolgimento degli individui di sesso maschile nella seconda guerra mondiale e, successivamente, l’emorragia dell’emigrazione protrattasi fino agli anni Settanta, distolsero dalla pratica folclorica alcune generazioni di Sardi. Coloro che restarono nei comuni del centro dell’isola lottarono per superare l’economia mono-culturale, ereditata dalla preistoria, nel tentativo di inventare un sistema economico in grado di affiancare la modernizzazione e il progresso promessi dai governi nazionali insieme allo sviluppo industriale e alla rinascita agro-pastorale.
Il canto “a tenore” visse, alle soglie degli anni Settanta, la prima e maggiore delle sue trasformazioni: diventò canto per levare alta la protesta contro i ritardi, le inadempienze e i soprusi di quei governi.
Nel frattempo trovavano diffusione i primi mezzi di registrazione e il canto di formazioni “a tenore” della prima metà degli anni Cinquanta ci perviene sia grazie agli studiosi citati in precedenza, sia grazie a registrazioni effettuate da pochi privilegiati privati cittadini che possedevano i primi modelli di registratori a bobina.
Ad uno di quei cittadini si devono le registrazioni effettuate a Ozieri fra il 1955 ed il 1958, recuperate e rese fruibili da Gian Gabriele Cau. Contengono i canti a di formazioni polivocali di Bitti (?), Bono, Fonni, Mamoiada e Orgosolo.
È curiosa la scelta dei testi delle poesie su cui erano articolati quei canti.
I balli, che attualmente abbondano nelle esibizioni sui palchi delle feste paesane come delle trasmissioni televisive, erano articolati in numero assai ridotto.
I canti detti a sa seria erano preferiti e gli autori di quei testi sono per lo più i poeti improvvisatori noti, vissuti a cavallo fra i secoli XIX e XX.
Gli interpreti di quei canti si trovavano, nella gran parte dei casi, a metà della loro carriera di cantadores.
Alcuni avrebbero continuato per altri due decenni in seno a formazioni diverse, composte da sempre nuovi petzos arruolati a coprire le parti vocali, in sostituzione di individui colpiti da improvvise indisposizioni. Capitava spesso che nello zelo dell’esercizio vocale precedente la partenza verso una serata di esibizione canora si abusasse in brindisi. Al momento del canto sul palco ci si accorgeva che un ruolo era scoperto. Spesso si chiamava un interprete all’ultimo momento, in sostituzione di una voce indisposta. Il valore canoro del provvidenziale sostituto era noto e tanto bastava: avevano cantato numerose altre volte insieme.
Da alcuni anni (1952) la ricreazione del dopo-lavoro si era data struttura organizzativa in forma associazionistica: nasceva l’E.N.A.L. e all’interno di questo i gruppi folk di ballo.
Sul finire degli anni Cinquanta si contavano gruppi di ballo dal ricchissimo curriculum di esibizioni in Sardegna, in Italia e all’estero. A quei gruppi si aggregava la formazione di cantori “a tenore”. Riprendevano impulso le grandi sagre del folklore isolano: Sant’Efisio a Cagliari, la Cavalcata sarda a Sassari, il Redentore a Nuoro. In queste ultime due vennero effettuate molte registrazioni di canto “a tenore” da parte di équipes della RAI e per conto del Centro Nazionale per lo Studio della Musica Popolare (CNSMP) della Accademia nazionale di Santa Cecilia e della Discoteca di stato.
La documentazione scritta relativa a quelle registrazioni, le date, i luoghi, le melodie registrate, i nomi degli interpreti, viene fornita, spesso in misura e maniera imprecisa, in diverse pubblicazioni: tre differenti quaderni ERI, Giuseppe Della Maria ne parla in alcuni numeri del Bollettino Bibliografico Sardo, Luisa Orrù riportò le indicazioni dei balli in Quaderni Bolotanesi, dal 1977 sono raccolti nel volume “Folk documenti sonori: catalogo informativo delle registrazioni musicali originali”, il sito Internet della bibliomrdiateca dell’Accademia di Santa Cecilia.
Gli interpreti di quelle registrazioni erano, talvolta, gli stessi che si esibivano sui palchi delle feste paesane.
Stava per nascere il semi-professionismo nel canto “a tenore”.
Uno dei cantori doveva farsi referente per le relazioni e i contatti con i comitati che richiedevano la presenza di quella formazione di cantori nel paese ospite. In ogni comune continuava la pratica del canto a Tenore coinvolgente decine di individui spinti dalla passione per il canto in compagnia la sera del sabato, il pomeriggio della domenica, in occasione delle feste in famiglia per battesimi e matrimoni, nelle feste campestri.
Una lunga permanenza ad Orgosolo permise a Franco Cagnetta di effettuare un elevatissimo numero di registrazioni di canti nel corso degli anni 1954 e 1955 e di parlarne diffusamente nelle sue pubblicazioni suscitando l’interesse di Diego Carpitella, giunto in Sardegna nel 1955.
Due brani di canto “a tenore” (Muttos e Ballu tundu) raccolti nelle campagne di rilevamenti confluite nella raccolta 026 del CNSMP furono pubblicati in un disco apparso negli USA nel 1957 e, in seguito, in Italia nel 1973.
Di particolare interesse il testo poetico del ballu che attesta una produzione rimata in cui classi sociali subalterne tracciano analisi del sistema di produzione economica da cui risulta evidente lo scontro di classi e seppure non è menzionato l’autore né la fonte da cui provengono le parole del canto, è riconoscibile Sa mundana cummedia di S. Poddighe.
Purtroppo quell’annunciato Ballu tundu di Orgosolo su versi endecasillabi si rivela essere un Ballu seriu di Orune di straordinario ritmo ed incomparabile bellezza, e le parole del testo hanno tutt’altra natura testuale.
L’etnomusicologo italiano Diego Carpitella e l’americano Alan Lomax pubblicarono nel 1958 un altro brano di canto polivocale senza indicarne il comune dove venne raccolto e indicandolo con un generico Su tenore a ballu. Si tratta ancora una volta di un ballu seriu di Orune.
Lo studioso tedesco Felix Karlinger giunse in Sardegna nel 1951 e vi soggiornò, a fasi alterne, fino al 1958. Fissò la propria base operativa ad Austis e visitò ogni comune della Sardegna registrando ovunque il materiale etno-fonico che vi trovava: polifonia religiosa e profana, canto monodico femminile, monodia strumentale, fiabe e narrativa popolare. Il ricordo del suo passaggio è ancora vivo in molti centri isolani. Egli parlò diffusamente delle sue poliedriche ricerche in pubblicazioni accademiche. Sul canto a tenore scrisse un articolo apparso in un numero del BRADS del 1983. L’articolo esponeva una importante, quanto lucida, riflessione sui cambiamenti intervenuti nel canto a tenore. Il confronto era stabilito fra le espressioni formali registrate da lui nel corso delle sue inchieste e le performances dei cori che aveva avuto modo di ascoltare, nei primi anni Ottanta, dalle emittenti del proprio paese. Nel 2003 una raccolta dei suoi scritti è stata pubblicata in Germania a cura di Giovanni Masala. Lo stesso curatore di quella pubblicazione è riuscito a recuperare due bobine contenenti, fra le altre cose, brani di diversa estensione temporale dei tenore di Orgosolo e di Mamoiada. La gran parte delle melodie che segnano la confezione dei volumi discografici di qualsiasi coro orgolese dagli anni Sessanta ad oggi non si discosta dalle melodie rilevate in quelle inchieste.
Il fenomeno ha due possibili interpretazioni: per taluni è segno di una cristallizzazione dell’espressione del canto tradizionale, per altri è la conferma che le melodie avevano raggiunto prima di allora l’apice della loro carica espressiva e comunicativa.
Nel corso dello stesso decennio in cui operò Karlinger, l’etnomusicologo danese A.W.F. Bentzòn ha dedicato la sua attenzione allo strumento polifonico delle launeddas. Egli effettuò anche alcune registrazioni di canto a Tenore che hanno avuto larga diffusione negli anni successivi.
Con l’avvento dell’incisione e della registrazione si è portati a pensare che la forma esecutiva di un periodo storico possa fermarsi e cristallizzarsi nella espressione documentata. Tale convinzione vale presso le collettività in cui è venuta a mancare la possibilità di verifica e controllo, da parte della comunità locale, delle forme espressive proposte da nuovi interpreti: si veda in proposito quanto afferma lo scrivente in Nodas (Frorìas, 1999).
La documentazione sonora di tipo commerciale del canto a tenore – iniziata nel 1964 con le incisioni su 45 giri presso la IPM di Milano – presenta, ancora nell’ottavo decennio del secolo scorso:
un fortissimo attaccamento alla forma espressiva più remota (Bono, Burgos, Lodé, Orosei),
un moderato superamento della forma tradizionale sapientemente elaborato (Orgosolo, Peppino Marotto prima e Gruppo Rubanu successivamente),
un allargamento dell’area di diffusione (Neoneli, Lanusei…) e/o un recupero dopo anni di abbandono (Abbasanta, Silanus…).
Gli anni Sessanta erano stati segnati dallo sviluppo dell’industria discografica e dal lancio dei dischi 45 giri in vinile. Nel corso di quegli anni l’interesse dell’etnomusicologo belga Paul Collaer che per primo parlò di chant de bergers riferendosi al canto a tenore.
Nel 1964 erano stati incisi due dischi (ORA 014, ORA 015) dal Quartetto di Orune per la casa Il Nuraghe di Mario Cervo di Olbia. Il successo fra il pubblico isolano fu davvero grande, più tiepido nel paese di origine del coro. Il modulo di canto orunese veniva rielaborato ancor più profondamente di quanto avessero fatto alcuni interpreti nei primissimi anni Sessanta.
La voce solista, Giovanni Musìo, era figlio di una delle tre voci soliste registrate nel febbraio 1955 da D. Carpitella e F. Cagnetta. Musìo padre (Giuseppe alias tziu Luminu) intonava un ballo, noto come “De liras, violinos e mandòlas”, da un modellu di Amico Cimino di Bitti. Questo ballo ebbe la prima pubblicazione in un disco lp 33 giri comparso nel 1957 negli USA e ripubblicato in Cd anche di recente dalla A. Lomax foundation e inserito nella sesta traccia della più famosa raccolta disco-libro di Diego Carpitella, Pietro Sassu e Leonardo Sole del 1973 “Musica Sarda” (Albatros).
Il brano in questione venne erroneamente attribuito al tenore di Mamoiada come anche il settimo brano, ed entrambi datati 1953 anziché 1955. Qualche particolare importante sfuggì al controllo dei compilatori della ricerca, pietra miliare nello studio della musica popolare della Sardegna. Mancano per ogni località di rilevamento le date precise e i nomi degli interpreti e i rispettivi ruoli. Nel sesto brano attribuito a Mamoiada 1953, si odono dei cantori orunesi: fra essi si riconosce la contra di Matteu Fraghì, la mesu-boche di Giovannino Fraghì e il basso di Sebastiano Porcu ma soprattutto la voce solista di Giuseppe Musìo, tziu Lumìnu. Questa formazione di canto aveva interpretato i brani 070-072 della raccolta 026 costitutita dai rilevamenti effettuati nel febbraio 1955 da D. Carpitella e F. Cagnetta. Per lungo tempo si è ipotizzato che la registrazione fosse stata realizzata da Bentzòn, che il coro fosse composto dalla contra di tziu Tzicarru (Paule Bàrmina), la mesu-boche di Bachiseddu ‘e Bragadore (Zidda) il basso di Jubannone (Giovanni Falferi), registrato anche da F. Karlinger. Nessuno era riuscito a riconoscere gli interpreti dell’ultimo brano (settima traccia del lato A del 3° volume della raccolta) né il comune di provenienza del coro. Lo stesso etnomusicologo sassarese Pietro Sassu non riuscì a svelarmi il mistero. Solamente un accurato ascolto di tutti i brani raccolti presso il CNSMP dell’Accademia di Santa Cecilia oppure presso la sede nazionale della RAI permetterà di risolvere l’enigma, sempre che, il ballo in questione non fosse accodato ad un altro canto più facilmente identificabile.
A distanza di anni, nel rileggere le note a questo Cd miscellanea, sorrido per aver risolto tutti gli enigmi.
Anche i Muttos di Orune, compresi nell’opera succitata, avrebbero una datazione (1968) imprecisa stando alle testimonianze di Martino Monni (Cancarittu) che si alternava nel canto dei versi settemari con P. Manca nel brano di apertura dell’antologia di canto a Tenore (Canti polivocali, vol. 3°). Sicuramente i brani: 2 Mutos a tenore [Orgosolo], 3 Boghe longa (voce lunga) (sic!) [Orgosolo], 4 Passu Torrau [Orgosolo], 5 Ballu Tundu [Orgosolo], vennero registrati nel 1972-73 (e non nel 1969) in occasione di un convegno sulle tradizioni musicali tenutosi a Tempio. Al convegno partecipò Peppino Marotto, autore di testi poetici e di un disco 33 giri inciso nel 1969, in compagnia di Peppino Fossati – straordinaria voce solista dei Muttos – e di Giuseppe Munari (bassu), Nazarenu Patteri (contra) e Giovanni Lovicu (mesu-voche) del Coro del Supramonte.
In breve, l’importantissimo studio Musica sarda del 1973 proponeva un panorama musicale non proprio pertinente, perlomeno non nell’antologia dei Canti Polivocali, la realtà del momento storico che, l’équipe dei curatori, forse voleva rappresentare negli intenti.
Numerosi eventi si erano verificati nel frattempo.
Una formazione di cantori orgolesi ebbe molta fortuna registrando a Milano una serie di dischi 45 giri negli anni 1964 e 1966 per la IPM. I diritti di quelle incisioni passarono prima alla Tirsu, che raccolse le incisioni in lp 33 giri e successivamente in audio-cassette. Nel 2002 i diritti sono stati acquistati da Frorìas che ne ha curato la rimasterizzazione e la diffusione in cd. Imitando quelle interpretazioni numerose decine di cantori orgolesi hanno appreso o forgiato il proprio stile esecutivo. Il successo di quella formazione di canto è andato oltre il paese supramontino e i testi di tziu Eppeddu sono ricordati insieme alle qualità vocali di Rondello in molti paesi della Sardegna.
Nel 1964 anche una formazione di cantori di Orosei incise per la IPM di Milano due 45 giri contenenti canti del repertorio de su Tenore e canti del repertorio de su Cuncordu.
Nel 1967 una formazione di cantori di Dorgali incise un disco 45 giri presso la IPM. La forma esecutiva è antipodica rispetto a quella dei dischi per grammofono del 1929: particolarmente nei Muttos. Cambiano persino le vocali caratterizzanti: /o/ preponderante ed /i/-/a/, diventano /i/-/e/-/a/. La forma dello sviluppo musicale di basso e contra, l’ornamentazione della voce di falsetto, i suoni consonantici che passano da /b/ quasi unico a /b/-/r/, il testo poetico privo di versi di retrogradazione interni alla torràda, segnano l’inesorabile superamento di una grammatica.
Fonni aveva dato vita ad un’autentica fucina di interpreti che nel corso degli anni Cinquanta era stata ampiamente rilevata da etnomusicologi a più riprese. Nel 1967 l’unione di due giovani case discografiche isolane, la AEDO e la Sardinia dischi, producono uno dei volumi più noti dell’iindustria discografica, il disco lp 33 giri 5 voci dal Gennargentu.
Una voce solista di Lodé si impone con forza, per lo stile personale e per la chiarezza del proprio timbro, nel mercato discografico di quegli anni: Preteddu Nanu. Accompagnata, fra gli altri, da un’impareggiabile contra (Martino Carta che si alterna con il fratello nella stessa parte vocale) la voce di Pietro Nanu entra in molte case dei comuni dell’area di diffusione del canto grazie a dischi 45 giri incisi presso case discografiche isolane sorte a Lodé e a Orotelli.
Nel corso del secondo lustro degli anni Sessanta si assiste a un florido rifiorire del canto testimoniato dalle numerose incisioni. Molti di quegli interpreti sono i cantori che nei decenni precedenti avevano diffuso il modo di cantare del proprio paese dai palchi delle sagre paesane. Da Ovodda fino a Monti passando per Gavoi, Ollolai fino a Siniscola, Posada e Torpé, da Galtellì e Loculi fino a Bolotana, Silanus e Sindia, ogni comune annovera almeno una formazione di canto semi-professionista in attività negli anni Cinquanta e Sessanta e a questa si fa riferimento nella ricerca stilistica. Il modello di voce solista per Mamoiada è Mazzone, per Ovodda sono tziu Giorgi Soddu (zio e nipote omonimi), per Ollolai tziu Antoni Cantoni. La contra di riferimento per Siniscola è tziu Camboni (Venale), per Pattada è Nanneddu Corveddu (Puzone). Tutti quegli interpreti seguono pedissequamente quanto appreso dai propri padri e perpetuano il canto del comune di appartenenza nel modo più aderente alla forma grammaticale identitaria paesana. Se sono graditi nelle loro esibizioni, questo si deve al piacere che suscita il modus, la poesia scelta, il tratto (trattu, traju, trazu) personale delle voci, su ghettu.
Il superamento di questo modo di valutare l’interpretazione del canto a Tenore, a prescindere dal modulo del paese e dallo stile del cantore, ha una precisa data nel 1969 con la pubblicazione del disco Sa bandiera ruja in cui il poeta orgolese Peppino Marotto espone testi di impegno sociale. Non che quei testi mancassero del tutto nei canti degli interpreti che in precedenza avevano inciso dei dischi: le poesie di Peppinu Mereu e Salvatore Poddighe come di poeti paesani erano intonate da molte boches del canto polivocale barbaricino anche a metà degli anni Cinquanta. Cambiava la contestualizzazione della cantàta. Dismesso l’abito di tutti i giorni, rappresentato da testi poetici validi per il ballo in piazza come sul sagrato di una chiesa o davanti al pubblico della gara fra poeti estemporanei, il canto a tenore diventò veicolo di un messaggio di protesta e di lotta sociale, quindi trovò spazio e uditorio nei festival di giornali di partito come le feste de l’Unità.
Nel 1970 un lp 33 giri conteneva testi poetici di Peppino Marotto e Giuliano Corrias eseguiti dal Coro del Supramonte. Si trovarono consensi nell’isola e al di fuori di questa.
In altri comuni si perseguiva, contemporaneamente, la ricerca di testi poetici della stessa natura.
Una prima forte evoluzione della natura testuale del canto si era verificata lungo tempo prima forse come motto di rivalsa contro il clero determinato dall’affermazione del socialismo in Sardegna (cfr. A. Deplano, Rimas, 1997). La trasformazione dei poemi devozionali dei Gosos da testi di natura religioso-devozionale a testi d’impegno politico e sociale, se non di protesta e perfino a carattere rivoluzionario, si registrava fin dalla fine del XVIII secolo con l’Innu de su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu. La commistione tra forme espressive del canto religioso del Cuncordu e del canto del coro profano, è attestata con documentazione certa nell’incisione del temore di Dorgali del 1929, in documenti della chiesa realtivi al 1930, nei primi anni Cinquanta con la registrazione di Tataju meu.
L’aspetto curioso di questa fase è che alcuni centri isolani manterranno parte dei canti di natura religiosa nel repertorio de su Tenore e si fonderanno con le melodie tradizionali come s’Anninnìa o i Gosos di varia natura (p.e. Orgosolo). In altri comuni sparirà il canto religioso (vd 5 Voci dal Gennargentu, Frorìas 2005) con le ultime Confraternite e rimarrà solo il Tenore come forma di canto polivocale realizzato quasi esclusivamente con desinenze non-sense (Orune). Orosei è il solo comune in cui il Tenore continua a perpetuare il suo repertorio di canti profani a fianco ai canti delle Confraternite ancora attive, ma si potrebbe citare anche Galtellì dove resistono entrambe le espressioni seppure in misura non attiva come altrove.

Il canto a tenore e la sperimentazione
Una formazione di cantori orgolesi riuscì ad elaborare una forma di canto a tenore agendo all’interno del solco della tradizione. La comparsa di un disco 45 giri (VIS-PA 106) presso la casa discografica Vis-pa di Orotelli nel 1972 aprì la strada ad un nuovo modo di gestire l’articolazione fonatoria della contra. Bustianu Piras gioca con la sua voce per creare un tessuto sonoro ricco, brioso, fortemente movimentato. Il suo volume emissivo è raro. Il suono è bronzeo. La potenza della sua voce appare incontrollabile, indomabile, ma egli è padrone di quello strumento quasi inumano. Le desinenze sonore che egli articola si rincorrono e costruiscono frasi inaudite. Solamente un basso della stessa levatura timbrica può stargli a fianco e seguirne tutte le sfumature espressive: Giuseppe Nicolò Rubanu, fondatore del Gruppo omonimo. Nei lavori discografici che seguono – Cantos de Possé 1973, Su lamentu de su Pastore 1974, S’Attitu 1984 – si ha la conferma dell’eccezionale maestrìa della contra e del basso nel Ballu cantau come nei Muttos. L’armonizzazione di altre forme di canto, comprese in quelle raccolte discografiche, indica una nuova strada seguita anche in altri generi artistici sardi: G. N. Rubanu utilizza, per primo, il testo A Nanni Sulis di P. Mereu e lo fa diventare il Nanneddu meu, melodia popolare fra le più note e diffuse, oggi.
La collaborazione con Marcello Melis e altri musicisti jazz sardi, sfocia nel disco The new village of the left pubblicato nel 1977 a New York. Il tentativo è di sperimentare un processo di fusione fra le sonorità e i ritmi del canto tradizionale della Sardegna e quelli della musica jazz. L’esperimento non può dirsi riuscito: rimane un importante laboratorio di ricerca aperto a nuovi esperimenti.
Nella musicassetta pubblicata nel 1987 il tenore Norìolo di Dorgali si confronta con il suono delle launeddas nell’esecuzione di Gotzos.
Da allora numerose altre formazioni di canto a tenore si sono prestate per la ricerca di nuove sonorità, di ritmi alternativi, di fusione di generi musicali, con l’obiettivo di dare “maggiore spazio”, “diffondere”, “promuovere la conoscenza del canto a tenore nel mondo”.
Il coro Tradissiones populares di Neoneli si è più volte cimentato, con collettivi o con singoli artisti, nella realizzazione di nuovi percorsi musicali: con le percussioni di P. Vinaccia, con Elio e le Storie Tese, con le launeddas di Orlando Maxia, con numerosi cantanti-autori italiani chiamati a interpretare testi in limba.
Il tenore Remunnu ‘e locu di Bitti ha più volte incontrato stars internazionali della musica e con alcune di queste ha dato vita a laboratori di ricerca. Si sottolinea la collaborazione con i musicisti e musicologi del CERM di Sassari sfociata nei Ferienkurse di Darmstadt. I tentativi più apprezzabili, secondo il parere dello scrivente, hanno coinvolto tre artisti isolani: Luigi Lai (Darmstadt, 1991), Piero Marras (vd Tumbu) e soprattutto Enzo Favata (Voyage en Sardaigne).
Il tenore Milìa di Dorgali, nei primi anni Novanta, ha partecipato ad un laboratorio di sperimentazione con musiche del compositore Antonio Doro.
Il tenore Sèlema di Torpé ha più volte incrociato le proprie sonorità con le launeddas di G. Pala. Esperimento provato da gran parte dei cori.
Il Tenore di Orosei ha testimoniato anche in un cd (Colla Voche, 1998) una lunga collaborazione con il violoncellista E. Reijseger.
Il tenore Luisu Ozanu di Siniscola ha cantato con i Cordas et Cannas di Olbia ed entrambe le formazioni hanno inserito il frutto delle collaborazioni nei propri cd.
Il tenore Ortachis di Bolotana ha preso parte a importanti progetti di sperimentazione, fra scultura, poesia, canto, proposti in diverse parti del mondo.
Il tenore Murales di Orgosolo ha partecipato a numerose sessioni di laboratori di ricerca nel corso di diverse edizioni del festival di Sant’Anna Arresi.
I progetti, appena ricordati in estrema sintesi, sono solo un aspetto delle collaborazioni con l’espressione canora de su tenore. L’elenco non dice delle molteplici ed incommensurabili esperienze di arricchimento culturale prodotte dalla conoscenza del canto a tenore. Innumerevoli artisti traggono ispirazione dal canto polivocale più arcaico della Sardegna.
Da tempi lontani.
Una registrazione RAI effettuata negli anni Sessanta a Seneghe testimonia di un fisarmonicista che affianca l’esecuzione del suo Ballu ‘e càntidu al canto del Cuntrattu. Più volte, melodie del canto a tenore di Orune (sa crapòla), di Fonni (boborissìna), di Seneghe (barimbaridé) hanno fornito ispirazione agli armonizzatori dei canti dei cori polifonici di Nuoro prima e di altri comuni in seguito. Sovente i canti di costoro si articolano su un tessuto sonoro costruito ad imitazione delle desinenze sonore del canto de su tenore.
Larentu Pusceddu inseriva il canto di una voce grave, una contra dal suono alquanto rude, nelle canzoni che egli eseguiva fra gli anni Settanta e Ottanta.
Con sacrale rispetto dell’espressione autentica del canto tradizionale E. Favata (Voyage en Sardaigne) inserisce il Cuncordu di Castelsardo come il tenore di Bitti e/o di Orosei nelle sue composizioni moderne.
Ignazio Pes inserisce il tenore Santu Caralu di Nuoro in un cd (Stato nascente) proponente suggestioni musicali sulla lettura di estratti di romanzi di G. Deledda.
Marcello Fois coinvolge (2004) il Tenore e Cuncordu di Orosei in Il tamburino sardo.
Luigi Lai (2003) compone una orchestra con launeddas e le voci di basso, contra e mezza-vcoe di giovani suoi compaesani: manca la voce solista e quindi il canto di un testo poetico.
Il tenore Corrasi di Oliena canta con Maria Luisa Congiu in un lavoro discografico del 2004.
Tanti musicisti isolani utilizzano il suono caratteristico delle voci gravi del bassu e della contra in sintesi elettroniche usate come base ritmica. Altri artisti ricorrono a quegli stessi suoni, ancorché privi della fonazione caratterizzante, come espressione sonora creativa (Alberto Balìa ed Enrico Frongia, le Balentes…).
Di tutt’altra levatura lo studio condotto da Vittorio Montis: musicista colto e attento studioso della musica popolare tradizionale sarda: egli ascolta, individua, analizza, conosce il linguaggio e la struttura grammaticale e sintattica del canto a tenore. Compone Remote prigioni del tempo, dove le parti del bassu, della contra e della mesu-‘oche sono sostituite da altrettanti registri di sax. È la sintesi di un codice men che regionale, quello del canto a tenore, in un linguaggio universale, la musica, che apre la porta a nuovi percorsi di ricerca.

Su tenore connottu
La sopravvivenza dei moduli di canto della tradizione tra le formazioni canore operanti negli anni Settanta non si comprenderebbe senza una definizione del modo di cantare “anticu” comunque presente. Naturalmente rinviamo all’ascolto degli eccezionali documenti discografici testimonianti quella pratica.
Nel tenore “connottu” non cambia il paradigma del canto polivocale né la natura timbrica delle voci che lo compongono. C’è differenza piuttosto nella confezione della stessa idea di armonia, prima ancora che nell’impasto e nell’intreccio delle voci componenti il coro. Manca soprattutto l’affiatamento omoritmico delle voci gravi faringalizzate: la grazia della concordia delle voci.
Il percorso di ognuna di queste è tortuoso (cfr la contra del tenore Luisu Ozanu di Siniscola) anziché lineare come siamo abituati a sentirlo nelle testimonianze discografiche dal 1929 ad oggi: fatte le debite eccezioni. A volte è stridente rispetto ad un esito “logico” della frase musicale, ad uno sviluppo testuale prevedibile se non scontato. La ciclica ripetizione di quei corfos porta ad avanzare due ipotesi:
che il canto fosse così costruito e quindi slegato dall’accentazione sillabica delle parole del testo poetico;
che l’accentazione delle sillabe delle parole componenti il testo avesse determinato una struttura musicale fissa e che questa sopravvivesse al cambiamento intervenuto nei tratti prosodici della lingua e nella costruzione poetico-compositiva.
Le voci si incontrano comunque a formare un tessuto univoco e talvolta si ha perfino la percezione di udire una componente bifonica nell’emissione della contra. Il basso gode di certa autonomia di movimento e può anche agire da solo (Bono e Burgos), articola suono che sopperisce alla mancanza di testo poetico e segna la strada per l’articolazione della contra (Orosei).
Risulta evidente la natura rituale religiosa del canto.
I suoni delle voci gravi parlano di imbovatura.
Le emissioni singole (corfos) della contra (S. Grispu di Dorgali, Norìolo) sono spesso forti e portanti come in un concerto grosso giocato nell’alternarsi dei suoni delle due voci gravi. Quanto descritto rimane forse solo nei documenti discografici poiché Bono (vd Tirsu, TRC 243 e successivamente Gente Nuova, cd Tenores Boghes de Sardinnia vol. 1° 2003) ha cambiato radicalmente il suo modo di cantare nelle produzioni discografiche più recenti (Gente nuova 2003), Burgos (Vis-Pa Al 16) ha quasi dimenticato il proprio canto, Orosei conserva in misura assai attenuata l’articolazione del basso, Dorgali preferisce il modo più aggraziato “elaborato” negli anni Cinquanta.
D’altronde l’odierno metro di giudizio sulla performance del canto di qualunque formazione non è più affidato all’intera comunità paesana ma alla capacità di vendita, in tempi brevi, delle centinaia di copie del compact disc immesso nel sofferente mercato discografico isolano. Oggi, con il superamento dell’industria discografica ed il post sul canale you tube, ci si propone direttamente al mondo di ascoltatori senza passare per il gusto di un editore e si immette canto senza il controllo del deposito sociale della comunità di appartenenza.
La componente rituale-religiosa si scontra con il problema della distribuzione del prodotto nel sistema merceologico sardo.
Due esempi di canto a tenore arcaico appartenenti a Bono e Burgos vennero prodotti fra il 1975 e il 1980 ed ebbero scarsissima circolazione e diffusione.
I prodotti discografici erano conosciuti e consumati solo entro i confini paesani, come spesso accadeva per la musica di tradizione orale. Quelle produzioni sembravano nascere ad esclusivo uso degli individui della stessa comunità paesana.
Uno spiccato senso di campanilismo, oggi ampiamente superato, interveniva anche nell’acquisto e nel consumo musicali.
Fino agli anni Novanta si arrivava a negare la presenza musicale nel comune distante appena dieci o venti chilometri o, quando la si ammetteva, le si sottraeva valore o la si denigrava.
Questa forma di competizione campanilistica ha servito da stimolo per la preparazione di prodotti discografici la cui confezione voleva essere di particolare cura.

Il Tenore oggi
Lo sviluppo dell’industria discografica sarda ha influito in misura notevole sulla trasformazione del canto a tenore. Si raggiunge l’apice con la diffusione massiccia dell’autoradio dotata di mangianastri. Le automobili utilitarie sono quasi tutte provviste di quel mezzo e il canto viene diffuso, ad alto volume, dai finestrini della macchina. Periferia o centro città, vicolo o strada centrale, cortile di casa o ovile, le note del canto a tenore invadono ogni dove senza tema di confronto con altri generi musicali. Le orecchie di chiunque sono disposte all’ascolto del canto solo maschile. È la situazione ideale per un’offerta di prodotti musicali senza pari. Anche l’emittenza radiofonica agevola questo processo: Radio Sardegna propone l’ascolto delle registrazioni effettuate nei decenni precedenti, Radio Supramonte trasmette i canti delle varie formazioni di ogni paese per buona parte della giornata. Altre radio private destinano fasce orarie alla trasmissione di musiche della tradizione.
Si rafforza la domanda di musica etnica. A metà degli anni Settanta giungono in sala di registrazione cori di ogni paese. Bitti, Dorgali, Fonni, Mamoiada, Neoneli, Nuoro, Oniferi, Orgosolo, Orune, Ovodda presentano le produzioni di gruppi di interpreti che cantano insieme da alcuni anni.
In molti casi si canta “gai”, senza programma prestabilito, studiato, concordato, provato. Si arriva davanti ai microfoni e ci si affida alla creatività ed all’esperienza della voce solista la quale “conosce tante poesie”. In rari casi si esprime un progetto artistico di valore: nel 1975 il gruppo Folk Studio di Orune esegue tutte le melodie del proprio repertorio paesano eccetto su dillu e sa lizèra. L’audiocassetta ha sapore didattico: la fascetta è ricca di note esplicative sul canto pubblicate in versione in lingua italiana e in lingua sarda varietà logudorese. La moda a Santu Nenaldu di Remundu Piras, è proposta in misura quasi integrale, in quattro forme interpretative diverse. Della raccolta Cànticos de Orune fanno parte anche i Muttos, sa Crapòla, i balli. Il successo di vendite è clamoroso: in una settimana è esaurita la tiratura di duemila copie. Occorre riconoscere che la presenza della contra Vittorio Montesu costituisse una garanzia: negli anni Sessanta una video-camera della BBC aveva scrutato nella sua gola per verificare che non vi contenesse strumento artificiale.
I nastri si susseguono, per alcuni cori, al ritmo di uno ogni due o tre anni.
Il canto deve farsi progetto.
Investe la ricerca sui testi poetici: si cantano poesie di Paolo Mossa, di Peppinu Mereu, Diego Mele, Padre Luca Cubeddu. Spesso i testi dei poeti classici convivono con estratti di gare poetiche e brandelli di composizioni estemporanee e testi di poeti paesani. Fra questi ultimi si scelgono componimenti su temi e problemi del sociale e del quotidiano.
La confezione poetico-testuale si appiattisce limitandosi all’uso quasi esclusivo del verso endecasillabo. Solamente alcuni balli sono eseguiti su versi ottonari: in alternativa si eseguono i Muttos, rigorosamente in versi settenari.
Fra riappropriazione dei canti di natura religiosa e apertura ai temi della politica, si “riscoprono” i Gosos. I cantori devono cimentarsi ora con le desinenze sonore e ora con i ritornelli dei testi senari o ottonari.
Con il vento sardista degli anni Ottanta si apre una sfrenata ricerca delle radici culturali per l’affermazione di esasperate forme di etno-centrismo. In alcuni comuni si dubita dell’autenticità del modo di cantare degli anni Settanta. Si assume come criterio di analisi la somiglianza espressiva fra due comuni limitrofi. Spasmodicamente si domandano informazioni a “detentori privilegiati”.
Nel primo lustro degli anni Novanta ogni comune vanta almeno due formazioni di canto semi-professioniste e ognuna di esse afferma essere vero continuatore del modulo della tradizione locale.
La diffusione del canto nei mezzi di comunicazione di massa, gli scambi sempre più frequenti fra gli individui di comuni differenti, hanno agevolato il superamento dell’unico limite imposto al canto a tenore: l’accento locale della voce solista nella boche longa o istérrida o boche seria.
La curva tracciata dalla voce solista per invitare alla creazione musicale le tre voci del coro nel canto disteso costituiva un marchio identitario paesano. Nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso si è persa la connotazione particolare di quell’intonare. Al canto di una voce solista di qualunque comune può rispondere il coro di qualunque altro paese: fenomeno impossibile fino agli anni Novanta. Come era impossibile eseguire nel canto a tenore la gran parte dei testi del poeta desulese Antioco Casula Montanaru che oggi compaiono nelle produzioni discografiche di quasi tutti i cori.
Abbracciando più versanti disciplinari e contemplando le componenti musicale, sociale, antropologica, storica, linguistica, spesso non tenendo conto dei confini, pur esistenti, fra tradizione e nuova proposta di canto a tenore, sono stati affrontati diversi studi da Bernard Lortat-Jacob (Polyphonies de Sardaigne, cd Les chants du monde, Collection CNRS/Musée de l’homme LDX 274 760, edizione rivista e aggiornata nel 1992 del disco lp 33 giri del 1981; Chroniques sardes, Julliard, Paris 1992; EN ACCORD Polyphonies de Sardaigne: quatre voix qui n’en font qu’une in Cahiers de musiques traditionnelles, Génève 1993, pages 70-85), da Emil H. Lubej (Genres in the repertoire of the sardinian “Tenores”, in Ethnologica, atti del VI European seminar in ethnomusicology, Siena agosto 1989, 1993; Die Stimmgebung in den Gesängen der “tenores” aus Sardinien, 1993), dallo scrivente (Tenores, 1994; Su Tenore, 2000; Ballos, 2000), da Paolo Mercurio (Dialogo sul canto a Tenore, 2002).

La raccolta antologica
Alla base del progetto Identidades sta un interrogativo assai urgente e importante: quali sono i percorsi evolutivi della musica sarda agli inizi del terzo millennio?
Il proposito è ambizioso, presume una investigazione in ogni ambito delle espressioni poetico-musicali isolane. Un investimento di appassionate competenze, per ripercorrere le tappe dell’evoluzione degli ultimi decenni avendo chiare le fonti da cui parte la ricerca.
Proponendo il progetto all’editore Franco Madau, lo scrivente previde anche la realizzazione di una raccolta antologica di brani che illustrassero, come exempla, alcuni dei particolari momenti descritti nei contributi raccolti in questo volume. Fino ad allora le Edizioni discografiche Frorìas avevano un catalogo di titoli, enormemente arricchitosi dopo il marzo del 2002, in cui rientravano numerosi interpreti del canto a Tenore: una scelta era obbligata.
Da appassionato cultore pensai alle due forme espressive che dànno maggiore piacere all’ascolto e permettono di valutare l’abilità della voce solista, l’affiatamento fra le voci del coro, la scelta dei testi poetici e le doti personali di ogni parte vocale del canto: la boche ‘e notte e il ballo.
La scelta delle due melodie si accompagna a criteri di rappresentatività degli interpreti, dei comuni che esprimono costoro e dei periodi storici esaminati.
Identidades a Tenore è stato pubblicato in cd e musicassetta nel 2001 e raccoglie grandi voci soliste, cori che hanno segnato il processo di ricerca ed elaborazione delle stilistiche e delle forme del canto, cori di grande impatto popolare, cori il cui canto si muove ancora fra elaborazione contemporanea e radicamento nella tradizione.
Mamoiada
Il canto di Mamoiada è stato guidato per decenni da una voce solista dal timbro caldo, dal tratto sicuro, dotata di eccezionali linee melodiche. Negli anni Cinquanta, del secolo scorso, espresse una forte personalità e si affermò nel panorama del canto a Tenore riscuotendo plauso e riconoscimenti, delle eccezionali doti, anche nei comuni vicini e lontani da quello di origine. Nome e cognome non dicono nulla agli appassionati. Al secolo si chiamava Giovanni Nieddu ma il mondo del canto a tenore lo ricorda come Mazzone. Egli fu punto di riferimento e maestro per generazioni di boches sul canto in verso endecasillabo. Propose stesure di cantu seriu costruite su quattro versi endecasillabi e giungeva, in prossimità della chiusura de s’istérrida, in grave debito di ossigeno. Eccelleva nel canto di lunghissimi testi in ottavas che trasponeva con una abilità senza uguali nelle variegate modulazioni della boche ‘e notte. La gran parte dei suoi canti, pervenutici nelle registrazioni commerciali LPS 3303 / MCK 703, come nelle registrazioni di Ozieri e di F. Karlinger, è strutturata su endecasillabi, sui settenari di rari Muttos, sugli ottonari de su Sartiu. Soprattutto questo ballo dovrebbe essere stato rielaborato da Mazzone. A fronte di una ricca presenza di solisti nei rilevamenti etnomusicologici, mancano documenti discografici commerciali attestanti la forma esecutiva da parte di boches mamoiadine antecedenti o contemporanee, ma la forma da noi conosciuta sembra più articolata su uno strumento musicale che sul modulo di canto monodico su cui interviene il tenore. Mazzone resta uno dei mazòres fra le voci del canto polivocale barbaricino e per tali ragioni questa antologia vuole compendiarlo.
Bitti
Il tenore di Bitti Remunnu ‘e locu ha rappresentato un alto esempio di professionalità, assiduità nella ricerca delle melodie del repertorio come nella valorizzazione dei testi poetici di autori locali. Proprio in queste sue dimensioni lo si propone in questa antologia. Rinviamo a tanta letteratura sul conto del tenore bittese e in particolare alle note curate dallo scrivente nei compact disc 706, da cui sono tratti i due brani, e 267, prodotti entrambi da Frorìas. Sono due canti della prima incisione, fra le tante realizzate nell’arco di una carriera pluridecennale nota ai più.
Lodé
Vera protagonista del panorama del canto a Tenore, dai primi anni Sessanta fino al primo lustro degli anni Novanta, è stata la voce solista lodeina di Preteddu. L’intera carriera artistica di Pietro Nanu è segnata dalla coabitazione forzata fra il canto come espressione di una produzione culturale tradizionale e popolare e la creazione del canto per l’industria discografica. Le regole di confezione del prodotto discografico erano un limite troppo forte per il suo estro e la sua creatività. Nato come cantore popolare egli era soprattutto voce per il ballo in piazza. Il pubblico della festa paesana, desideroso di musica su cui eseguire i passi e i movimenti del ballo, non poteva chiedere di meglio al solista capace di prolungare il canto del ballo per venticinque minuti. Comprimere quei tempi nella regolata durata della facciata di un 45 giri deve essere stato un enorme sacrificio per Preteddu, modo affettuoso con cui il popolo di appassionati chiama ancora oggi la più bella voce del canto a tenore. Rinviamo al cd “Preteddu S’identidade de una ‘oghe” (Frorìas, 2004/11), contenente note di B. Bandinu, A. Deplano e P. Pillonca.
Orgosolo
Nelle numerose raccolte miscellanee di canto a tenore capita raramente di trovare il coro Rubanu di Orgosolo nel cantu a sa seria o a sa Lestra. Si è scritto in precedenza di questa formazione canora e pertanto rimandiamo all’ascolto della discografia prodotta da quegli interpreti. Tuttavia è utile precisare che a metà degli anni Settanta, pur esprimendo abilissimi cantori come il Coro del Supramonte e, poco più tardi il Gruppo Mesina, veicolo dell’immagine del paese supramontino nel mondo fu precisamente il coro Rubanu. Non solo, nella stessa isola è stata tra le formazioni artistiche più richieste e presenti nelle serate di spettacolo: anche venticinque concerti al mese. Il segreto del loro grande successo risiede nella varia e innovativa formula di proposizione dei loro canti e inoltre, ognuna delle parti del canto era coperta da validissimi interpreti.
Orune
Ecco un esempio di voce della tradizione, dove il canto del solista è calmo, disteso, perfettamente intelligibile anche nella modulazione dei corfos. Si concede lunghe pause fra una serie di versi e la successiva: il canto di tziu Remigio Gattu non è animato da alcun sentimento di urgenza. Così le voci del coro hanno modo di articolare le proprie sonorità dentro un alveo interpretativo rielaborato di volta in volta. Del resto la parte della contra è ricoperta da Vittoriedda, universalmente, e a buon diritto, ritenuta la migliore fra tutte le contra. Il brano è tratto dal cd 751 pubblicato da Frorìas e per ulteriori informazioni si rinvia alla nota introduttiva (a cura di A. Deplano).
Appartiene ad Orune anche la formazione autrice dei due brani successivi tratti dal cd Che-i su bentu 010498 al quale si rimanda per la lettura delle note curate dallo scrivente. Il primo dei brani propone quella pratica del ballo in piazza nel quale si alternavano due (o più) voci soliste nell’intonazione di strofette (soprattutto ammuttos) su cui il coro costruiva la creazione musicale. È la tradizione popolare secolare che continua a riproporsi vitale nelle voci di Pedru Cosseddu e Taneddu Farina, del Tenore Santa Lulla, nelle forme espressive in uso alla fine degli anni Novanta. Il carattere popolare del canto si connota anche per la scelta dei testi poetici sentiti dal popolo: Taneddu intona versi tratti dalla Gerusalemme Vittoriosa, di Melchiorre Dore, con la quale si divulgava la conoscenza della Bibbia: Sansone sembra qui un eroe paesano e l’impresa contro i Filistéi assume ulteriore peso nell’articolazione delle desinenze del coro Santa Lulla.
Silanus
Una pratica folklorica per lungo tempo sopìta è stata ritrovata nel corso degli anni Settanta dagli abitanti di Silanus. Per decenni essi avevano curato il canto a tenore come strumento per accompagnare la produzione dei versi estemporanei dei poeti paesani e dei comuni vicini. Il tenore Santa Sarbàna – Battista Morittu esprime in un carattere di eccellenza la ricerca dei moduli canori del paese del Marghine e riesce anche ad imporsi come una delle migliori formazioni di canto nel panorama contemporaneo. Agli inizi cantano testi di varia estrazione, da Paolo Mossa ai poeti locali come Francesco Mura. È frutto del sodalizio con Paolo Pillonca, uno dei massimi esperti conoscitori della versificazione sarda, la nuova scelta dei testi poetici inseriti negli ultimi lavori discografici del tenore silanese. Qui sono proposti due brani: il primo è una boche ‘e notte dalla quale, come tradizione vuole, si rilevano le qualità vocali di ciascuno degli interpreti e se ne valuta l’abilità e perfino la maestrìa, oltre all’affiatamento. Il brano di chiusura dell’antologia è un ballo, su dillu. Il rimando bibliografico e discografico a Ballos (Frorìas, 2000) è spontaneo: nella trattazione di questa melodia del canto a tenore si sottolineava l’urgenza di reperire testi poetici composti in versi quinari per poter perpetuare questa forma coreutica. In tale lunghezza metrica sono già state prodotte canzoni e poesie e la vitalità che esplode da esse dice che il canto a tenore vive e continua ad accompagnare i momenti di gioia dei Sardi.

 

Bitti, Lodé, Mamoiada, Orgosolo, Orune, Silanus
Gruppi : Tenore Remunnu ‘e locu di Bitti,Tenore de Lodé, Tenore
Mamujada Mazzone, Orgosolo Gruppo Rubanu, Tenore de Orune Folk Studio, Tenore de Orune Santa Lulla, Santa Sarbàna di Silanus
Opera : Cd e Musicass. Miscellanea
Titolo : Identidades a Tenore
Anno Edizione : 2001
Casa Disc. : Frorìas
Codice Opera : Cd 2001 1
Distribuzione : Frorìas

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