Dinghi dinghi sa viola

 

 

 

Dinghi dinghi sa viola è l’inizio del testo di una quartina variamente articolata nella seconda parte, i versi 3° e 4° ma, in ogni comune sardo sono noti i primi due versi.

Quello che non si conosce è il significato di quel dinghi iniziale presente in forma iterata, ma anche le altre parole che sembrerebbero comprensibili, tali non sono.

Noi sappiamo che le parole raccontano storie nel divenire dell’umanità che ha fatto uso di quei vocaboli.

A sentirlo pronunciare dinghi può evocare il suono di una vibrazione, come di una corda tesa che, sollecitata, vibri ed emetta il suo suono. Oppure è una ‘formazione scherzosa’ come din-din per indicare ‘denaro’ (cfr G. M. Cabras, Vocabolariu baroniesu)

Potrebbe perfino trattarsi della forma apofonetica di un accatto cat. o cast. dengue per intendere ‘delicatezza eccessiva, smanceria, lamentela’ (E. Nieddu, Cuàste?). Altrimenti la voce dinghi, sempre secondo Nieddu, sarebbe ‘intercalare di certe antiche filastrocche’ (E. Nieddu, id.).

Ancora Nieddu presenta anche la forma dinghili con identica funzione di ‘intercalare’.

Nel Vocabolario sardo logudorese di Pietro Casu leggiamo dìnghi come ‘danaro’ ma subito dopo il segno di separazione |, diventa esclamazione con valore di ‘E dalli!’. Poco dopo, nello stesso Vocabolario a cura di G. Paulis, è censito il lemma dìnghiri definito anch’esso esclamazione col significato di ‘E dalli!’.

A queste si può aggiungere drìnghilli che indica l’intolleranza, lo sdegno, il fastidio verso qualcosa di ridondante e insopportabile: la presenza della -r- epentetica segna in modo fortemente negativo l’interiezione.

  1. L. Wagner e M. Pittau presentano invece la voce dinghellu a cui attribuiscono significato di ‘diavoletto, ragazzo birichino’ che fanno derivare da cast. duende. Pittau rileva anche le voci dinghi-danga e dinghi-dongo che definisce rispettivamente ‘voce imitativa’ e ‘vocabolo onomatopeico’.

Anche M. Puddu censisce il lemma dinghéllu di cui offre la seguente definizione: ‘unu de is nòminis chi nanta a su dimóniu’, mentre per la voce dinghi rinvia a din.

Nieddu, Casu, Wagner, Pittau e Puddu, molto probabilmente senza averne contezza, non sono andati lontano dalla verità.

Dingir di-ĝir [’dingir] Relig. Tra le varie epifanie del Dio unico nella religione sardiana si annoverava anche Dingir o Di-ĝir. La sua presenza in forma intera (dìnghir-i) nell’Isola è attestata unicamente nel canto a tenore della contra Vittorio Montesu di Orune, segnatamente nel ballu lestru documentato nella musicassetta (1974) del tenore Folk studio edita da Il Nuraghe di Mario Cervo di Olbia.

Dingir è il nome che, secondo S. Dedola, indica il “Dio di Sumer” (Grammatica della lingua sarda prelatina, pg. 55), la ‘divinità unicamente sumerica’ della popolazione mesopotamica con questo significato: Di ‘Dio’ +  ĝir ‘nativo, autoctono, colui che vive nella terra di Sumer’.

Eppure, nel canto di Vittoriedda è palese la presenza di quella divinità in terra di Sardegna.

Nel presentare il nome di tale divinità Dedola afferma che i Sumeri partissero da di “to bright / splendere, brillare” (vd sardo e latino die), da ciò si arriva alla formazione di Diĝir.

Vittorio Montesu, falegname e formidabile voce di contra, ignorava la linguistica storica ma cantava:

de dinghi de

dinghi do,

de dinghir-i de

rūm-ba.

Il de che precede di volta in volta il termine di cui si tratta, indica “creatore”, mentre il do ricorrente una sola volta, a seguito del lemma dinghi, è certamente l’originario du (performance musicale) la cui vocale -u è spesso finita per diventare -o nel sistema vocalico sardo attuale, almeno nei monosillabi. La consonante finale -r appare e scompare (si dilegua) nella pronuncia (per esempio: esse, esser, essere) come nell’articolazione del canto e, al riapparire, prende vocale paragogica -i. Potrebbe essere superfluo, ma lo si ricorda: in lingua sarda, assai sovente r > l e viceversa.

A domanda circa la origine delle desinenze sonore (corfos) di quel canto per creare il ballu lestru, Vittoriedda rispose:  “Robba de familla, imparadu da-e Peppeddu Montesu” (contra, cugino di Vittorio, cantore registrato nel corso dei rilevamenti etnomusicologici degli anni ‘50, vd Orune nella Raccolta 026 del CNSMP del 1955 nel sito dello scrivente).

Tutti i campi lessicali religioso, poetico, canoro, musicale vennero fatti oggetto di svuotamento di senso e svilimento di significato: in sumerico digir [’diγir] significava ‘divinità’.

Il favoloso interprete solista del Folk studio di Orune, Pascale Piredda, cantava ohi dìghiri dì – dìghiri dèlla per costruire testo su cui bassu e contra potessero creare musica: vere opere d’arte canora.

Il nome della divinità Dinghi(r) fu banalizzato al fine di farlo uscire dalla mente dei Sardi: il canto a tenore subì anch’esso quell’offensiva, tuttavia, sfuggì all’opera di distruzione della cultura ancestrale perpetrata a seguito delle sanguinose, quanto improduttive offensive militari di Zabàrda (comandante bizantino) tese alla conversione al cristianesimo, manu militari, delle popolazioni pagane della Sardegna centrale dopo la conversione di Ospitone (594 d.C.).

Fra le forme di manipolazione (in sardo istrammudìnzu, dal verbo istrammudìre) della lingua sarda precristiana adottate dal clero Bizantino fra il VI ed il X secolo ci fu la sostituzione dei nomi delle divinità preesistenti con il nome del diavolo: l’intento era di demonizzare tutto ciò che apparteneva alla religione pagana precedente il cristianesimo. Così Dinghir diventò dinghéllu. Quando questa operazione non riuscì, si svilì il nome divino facendolo intendere come ‘privo di significato’, ‘buono per fare suono’.

Ci rimangono numerosi relitti della religione sardiana come El, Dio sommo della Bibblia, diventato ellus (campidanese) e ello (logudorese) che noi continuiamo ad usare quotidianamente, anche in modo frequente, ma di cui nessuno sa dare il significato originario.

Ancora oggi si sente intonare Dinghi(r), Ello, ed altri nomi di divinità del pantheon della Sardegna antica, da solisti con accompagnamento di strumento musicale o di forme di coralità tradizionale nel creare strofette per il ballo.

Il testo della quartina che assumiamo in una forma meno volgare della più nota è: Dinghi dinghi sa viola / sa viola ‘e su entu / a mastru juanni an tentu / pessighìnde una sennora.

Siamo sicuri di capire l’esatto significato di sa viola, e de su entu?

Non saranno anch’essi frutto di paronomasia?

I Bizantini furono abilissimi nell’uso di questa figura retorica: con parole di suono simile o uguale ma di senso differente producevano significato diverso.

L’insieme di suoni componenti sa viola e su entu traducono realmente il nome botanico della viola e, su entu alimenterebbe le pale eoliche con cui oggi si vuole deturpare l’ambiente isolano?

E cosa significherebbero quei primi due versi poetici?

Inizio modulo

Con buona probabilità, a partire dall’effetto fonemico del testo sardo attuale, il testo originale del distico iniziale della strofetta dovette essere a un dipresso il seguente:

Dingir di-ĝir ḫabālu

[’dingi ’dingi ḫa’βalu ] >

[’dingi ’dingi ša βi’ɔla ]

ḫabālu dâṣu ēntu *

[ḫa’βalu ’ᵭassu ’entu] >

[ša βi’ɔla ᵭε ssu ’entu]

Il suono fricativo velare sordo [ḫ] ancora oggi si sente nelle diverse forme di pronuncia della s di alcuni comuni sardi. Il suono bilabiale [b] passa spesso a labiodentale [v]. Il suono vocalico lungo ā produce un insieme vocalico (iato) di vocale anteriore breve [i] + vocale posteriore aperta [ɔ] mentre la -u finale atona finisce per suonare [a].

Per somma precisione è utile ricordare che il nome botanico della viola o violacciocca in sardo è balcu, barcu, bascu, come in accadico warqu.

Il verbo akk. dâṣu suona come la preposizione  semplice seguita da articolo = de ssu. Il suono di [b] in inizio di molte parole è spesso protesi (essire e bessire; intrare e bintrare) ma talvolta dà forma al fenomeno dell’afèresi (binu e inu; bendere e endere) della consonante [b] iniziale, fenomeno fin troppo noto in sardo per poter dubitare di ēntu come esito fonetico di (b)entu. La paronomasia è servita!

La traduzione di ogni singola parte del testo originale dalla lingua accadica è la seguente:

ḫabālu (1)

[Vie morale → Défauts]

1)  un acte de violence, une violence, un méfait

[Vita morale → Difetti]

1) un atto di violenza,

una violenza, un misfatto

dâṣu

[Vie morale → Défauts]

traiter injustement, manquer de respect

dâṣu

[Vita morale → Difetti]

trattare ingiustamente, mancare di rispetto

ēntu *

[Religion]

une prêtresse, une officiante; une prêtresse de Sîn

ēntu *

[Religione]

una sacerdotessa, una officiante; una sacerdotessa di Sîn (Dio/Dea della Luna [n.d.t.])

Il significato finale può essere così definito:

“Dio, Dio, un atto di violenza (è stato compiuto) /

Un atto di violenza (hanno) mancato di rispetto (verso) una sacerdotessa del Dio Luna”.

Come si può notare, anche nella forma ‘edulcorata’ che abbiamo proposto per il quarto verso, si rileva certa continuità di significazione fra i primi due versi ed i secondi: il verbo al gerundio è stato sostituito con un altro di medesima estensione sillabica ma non occorre molta fantasia per ripristinairlo.

Dalla Mesopotamia il nome del Dio sumerico Dinghir  si irraggiò in terre lontane e deve essere giunto financo in Asia, forse in epoca seriore attraverso la dominazione turca (ottomana).

Nella Repubblica della Tuva ed in Mongolia è diffuso il Tengherismo. Questa religione prende il nome da Tengri, nella catena fonosemantica [d]>[t] e per apofonia [i]>[e]: Tengher è il Dio della Natura e Dio Sommo. È attestato in un film di Jean Jacques Annaud del 2015 ambientato nel 1967, dal titolo L’ultimo lupo.

Considerata l’etimologia di Diĝir è difficile accettare l’idea di Marija Gimbutas di ‘orde di popoli della steppa’ che abbiano portato con sé il nome di quella divinità fino in Mesopotamia. Proviamo comunque ad ipotizzarla: i popoli della steppa si sarebbero spinti anche nella nostra Isola?

Non è credibile!

È invece certo che altri nomi della religione precristiana erano comuni ad un vasto numero di popolazioni del mondo antico e si trovano ancora nell’oscuro linguaggio della musica tradizionale sarda che andrebbe meglio conosciuta e studiata.

 

Bibliografia:

-S. Dedola, Grammatica, 2013.

-S. Dedola, Monoteismo, 2014.

-A. Deplano, Bidùstos, 2013.

-A. Deplano, DED, 2020.

-A. Deplano, conferenza di presentazione della Grammatica della lingua sarda prelatina di S. Dedola, in Internet.

© Andrea Deplano 2024

 

Foto di Marco Deplano

Torna in alto