Cànticos de s’identidade in s’istoria sarda: dae Frantziscu Innassiu Mannu a sas cantones pro sa Rinaschida e contr’a s’oppressione
in Le radici dell’Autonomia Regionale nei moti antifeudali in Sardegna alla fine del ‘700 – Atti de Sa Die a cura di T. Bussu.
2011
“Canti dell’identità nella storia sarda: da Francesco Ignazio Mannu alle poesie per la Rinascita e contro l’oppressione”
In sardo si dice “Feli spingit boxi”: l’amarezza, il dolore, spinge la voce. Come dire che il canto è sempre mosso da una situazione di dispiacere. È vero solo in parte. La letteratura sarda abbonda di una produzione poetica in cui si canta la bellezza dell’amore: si pensi alle poesie del bonorvese Paolo Mossa
All’interno del tema che mi accingo ad affrontare il canto sarà comunque il veicolo che ci consentirà di vedere la Sardegna esteriormente –per gli aspetti più di superficie come il paesaggio e la natura- ma sarà utile anche per cogliere la psicologia dei sardi e riflettere sulla struttura antropologica di questo popolo.
In Sardegna si avevano due modi di cantare: cantare per produrre versi poetici all’impronta e cantare trasponendo i versi creati in precedenza da poeti improvvisatori o di meditazione. Nel primo caso il compito era affidato ai cantadores o poetas a bolu. Si tratta di una sorta di troubadours o trouvères che attraverso l’improvvisazione poetica in veri e propri certami dialettici costruiti su forme e stilistiche compositive collaudate nei secoli divertivano, ma soprattutto educavano, le comunità locali.
In secondo luogo i cantori per il ballo che intonavano canti monodici su testi talvolta improvvisati al momento, spesso confezionati in precedenza.
Nell’area centro-settentrionale dell’isola, dall’oristanese alle porte di Sassari e dal Supramonte fino alla Gallura, riproduttore dei testi della poesia rimata era il canto a tenore.
I testi poetici erano appresi a memoria e vivevano il tempo della durata della trasposizione canora. Gran parte dei testi prodotti nel canto improvvisato è andata perduta considerata la natura effimera dei contenuti almeno come la gioia degli ascoltatori nel limitato momento della festa.
Fino alla fine del settecento, sono rari i testi poetici pervenutici attraverso fissazione nella memoria collettiva.
Nell’arco del 18° secolo, tuttavia, nella produzione poetica in lingua campidanese, abbiamo un muttettu particolarmente efficace del cantadori quartucciaio Ciccheddu Olata.
1° brano
Muttettu
Ciccheddu Olata (1763-1833)
Boxi: Piero Marcialis
Sterrìna
A Arremundu Corona
B su majori capu
C est personi capaci
D ma tui d’odiàsta
E ca mali ddi bolìasta
Torràda
E’ B’
Si bivìasta scapu
D’ C’ A’
portàsta facci bona
Il messaggio poetico semanticamente congruente è contenuto nella struttura chiamata Torràda. Viene proposto sotto forma di metafora e a prima vista si direbbe perfino criptato. La torràda o Rima contiene un deposito di parole-rima che chiuderanno la rima con le parole esposte nella Sterrìna. Fra le parole che verranno riprese per articolare le retrogradazioni del Muttettu spicca l’aggettivo scapu (libero).
Olata osa, in epoca feudale, parlare di libertà delle persone. Il ricordo di questo cantadori è ancora vivo fra le persone che seguono la poesia cantata e i suoi versi colpirono molti popolani apparecchiando il clima dei moti antifeudali nel Capu de josso.
Fra i testi che dipingono la società di fine XVIII secolo e suonano ancora per carattere popolare fino ai nostri giorni con grande significanza, c’è un lungo Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios.
Composto da Francesco Ignazio Mannu su una struttura poetica molto cara al popolo, la forma dei Gosos, il poema noto come Barones sa tirannia, è cantato da innumerevoli interpreti del canto sardo.
La prima esecuzione su disco risale al 1973 ad opera di Peppino Marotto nel disco-libro Musica sarda – Music of Sardinia curato da Diego Carpitella, Pietro Sassu e Leonardo Sole. Marotto esegue brevissimi frammenti del componimento nella melodia del ballu tundu insieme alle tre voci del coro componenti il tenore Supramonte di Orgosolo. Da allora il componimento venne inserito nei volumi discografici di moltissime formazioni polivocali come di sodalizi artistici della world music nati nel corso degli anni settanta del XX secolo. Ultimo tentativo, pregevole anche per l’aspetto filologico, il compact disc Barones del tenore Cultura popolare di Neoneli che esegue nella forma del canto a tenore, sull’accompagnamento delle launeddas di Orlando Maxia ma soprattutto, coinvolgendo un gran numero di cantanti-autori e grandi interpreti della musica italiana fra cui Guccini, Baccini, Elio de Le storie tese… L’operazione testimonia che il testo può essere un formidabile veicolo di conoscenza e diffusione della storia, della poesia, della cultura e, non ultimo, della lingua della Sardegna.
La versione che si propone all’ascolto è tratta dal cd Su lamentu de su pastore del Gruppo Rubanu di Orgosolo che incise su disco lp 33 giri nel 1974. Sono cantate alcune ottave del componimento e in chiusura è intonata la prima strofa dell’Inno. Quei versi ottonari hanno valore di minaccia nei confronti del signore feudatariu mentre le strofe cantate sono proposte per indicare, in modo antitetico, la differenza di sistema di vita fra feudatari e vassalli.
2° brano
Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios
Frantziscu Innassiu Mannu
Gruppo Rubanu di Orgosolo
Su riccu feudatariu
a sas ùndighi si pesat
da-e su lettu a sa mesa
da-e sa mesa a su giogu
e poi pro disaogu
bandat a cicisbiare
lompet a iscurigare
ballu treatu allegria
Procurade ‘e moderare
barones sa tirannia
Cantu differentemente
su poveru passat s’ora
innantis de s’aurora
già est bessìdu in campagna
bentu e nie in sa muntagna
in su paris sole ardente
o poverittu comente
lu podet agguantare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Cun su tzappu e cun s’aradu
tribagliat tottu sa die
a ora de mesudie
si tzibat de solu pane
menzus paschìdu est su cane
de su barone in tzittade
sende cudda calidade
chi faltat a sos de importare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
O poveros de sas biddas
tribagliade tribagliade
pro mantenner in tzittade
tantos caddos de istalla
a bois lassan sa palla
issos si tenen su granu
e pensan sero e manzanu
solamente a ingrassare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Naschet su sardu suggettu
a milli cumandamentos
tributos e pagamentos
chi faghet a su segnore
in bestiamen e in laore
in dinare e in natura
e pagat pro sa pastura
e pagat pro tribagliare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
ca si no pro vida mia
torrades a pé in terra
declaràda est già sa gherra
contra de sa prepotentzia
e comintzat sa passientzia
in su populu a faltare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
La forma compositiva, la struttura e i contenuti del testo, facilitavano la circolazione fra ogni ceto sociale poiché connotati dal carattere popolare della creazione poetica. Fu geniale la scelta della lunghezza del metro ottonario da parte del poeta e sorprendente la scelta della forma del poema: i Gosos da un lato e sa Cantone torràda dall’altro. I Gosos costituiscono il notevole corpus della letteratura agiografica e hanno avuto largo impiego da parte di religiosi e popolani devoti. Alla strofa chiamata tela segue un distico di ritornello che rima con l’ultimo verso della strofa. Nell’Innu si produce una interscambiabilità dell’ordine nel distico che consente di chiudere la rima in –are oppure in –ia. Il ritornello ha notevole impatto e facile comprensione e memorizzazione da parte di chiunque. Questi elementi hanno conferito il successo e la popolarità al testo che da molti è designato a inno della Sardegna.
Il testo poetico successivo, fra i più noti dei canti di protesta in lingua sarda, giungerà in forma anonima alle generazioni successive e ancora oggi non si riesce ad attribuire la reale paternità del componimento. C’è chi l’attribuisce a Gavino Achena, un religioso di cui ci sono pervenuti due Gosos e di cui sappiamo essere morto, ormai molto anziano, nel 1829.
Per decenni venne indicato Melchiorre Murenu quale autore di un componimento di 110 strofe di cui farebbero parte questi quattro versi.
Nel 1820 Vittorio Emanuele I emanava l’Editto delle Chiudende con cui si credeva di poter dare impulso all’agricoltura determinando, de facto, l’istituzione della proprietà privata in una società che aveva un elevato senso di terra civica. Oltre alle terre infeudate ai pochi signori feudali, l’intera popolazione viveva un sistema paleo-comunista di collettivizzazione delle terre. Tutti erano proprietari e nessuno possedeva la terra così, intorno ai centri abitati era possibile sviluppare l’agricoltura alternando le coltivazioni in un sistema produttivo ereditato dalla notte dei tempi.
La privatizzazione avvenne da parte di pochi a discapito della gran parte dei sardi che furono privati dei terreni da coltivare e da pascolare.
3° brano
Tancas serràdas a muru
Melchiorre Murenu o Gavino Achena
Tenore Supramonte di Orgosolo
Tancas serràdas a muru
fattas a s’afferra afferra
e si su chelu fit terra
l’aìan serradu puru
Le parole contenute nei quattro versi non offrono tòpos di riferimento. Mancano colori. Mancano aggettivi caratterizzanti. Può essere prodotta da poeta del Marghine come del Logudoro, di Planargia o di Montiferru. Si intravvede marcatamente il carattere popolare del componimento: chiunque avrebbe potuto comporlo, anche il poeta cieco di Macomer Melchiorre Murenu.
Questi venne ucciso nel 1852 facendolo precipitare dalle rocce di Macomer. Forse a causa delle poesie irriverenti verso una giovane che aveva una relazione con il nobile locale, forse a causa delle pungenti satire verso intere popolazioni o singole persone ma più verosimilmente per aver composto questi quattro ottosillabi.
In apertura di questa relazione dicevo che sarebbe stato possibile affrontare un viaggio alla scoperta del territorio sardo. Fino all’editto delle chiudende il paesaggio era ben diverso. Le opere murarie visibili erano i complessi nuragici o i mucchi di pietre raccolte per poter coltivare agevolmente il terreno. A seguito della privatizzazione, la parte centrale dell’isola è segnata dalla parcellizzazione del territorio coperto da muri a secco usati a mo’ di recinzione nel corso dei decenni successivi.
Gli eventi di quei decenni, dal 1820 al 1858, compreso il superamento del sistema feudale, non avevano portato ad un miglioramento del sistema di vita della grande parte della popolazione isolana. Anzi, con la vendita dei terreni del demanio nel corso del 1868, la situazione economica delle popolazioni sarde si aggravò ulteriormente.
Alle coltivazioni nelle immediate circostanze de sa bidda seguivano le terre del demanio in cui il popolo poteva raccogliere ghiande per l’allevamento e fare legna da usare per riscaldarsi.
L’uso di quelle terre faceva sì che il sardo prestasse alla lingua italiana la parola aumprèu, ademprivio, per designare un istituto giuridico tradizionale.
La sottrazione di quelle terre demaniali impoverì irrimediabilmente gli abitanti dei comuni isolani. In innumerevoli centri scoppiarono delle rivolte di popolani che domandavano il ripristino di quelle consuetudini. A Nuoro, i moti del 1869 con cui i cittadini chiedevano di tornare a su connottu erano vivi nella memoria di molti ancora nella metà del secolo successivo e celebrati con una pièce di teatro scritta da Romano Ruiu.
Le condizioni di disagio e povertà del decennio seguente portarono alla prima forte ondata (1880) di emigrazione, verso la Corsica e la penisola italiana.
Certamente molti poeti ebbero il coraggio di comporre contro lo stato di cose di quel secolo ma non ci giunge traccia scritta e le imponenti raccolte di Giovanni Spano come degli altri ricercatori sulla poesia popolare evitano di antologizzare il tema della protesta.
Occorrerà aspettare uno dei poeti più amati dagli interpreti del canto popolare, Peppinu Mereu (1872-1901) di Tonara, per ritrovare una letteratura di protesta strutturata non solo sul piano metrico ma anche su un ampio ventaglio di contenuti. Questo fà di Mereu uno degli autori di maggiore divulgazione nel canto popolare sardo. Egli fu tra i primi a respirare quell’aria di socialismo utopistico delle origini.
Nella sua breve vita cantò contro ogni sopruso con voce forte e chiara. Si scagliò contro i preti, inveì contro la diseguaglianza in ogni sua forma: per primo fece uso di ogni registro formale per satireggiare e colpire i potenti.
I testi di P. Mereu divennero simbolo di contestazione e ogni formazione di canto polivocale profano ha intonato i suoi versi mentre i poemi di altro contenuto si ritrovano nelle incisioni e registrazioni dei cori polifonici in tutta l’isola. Nelle inchieste etnomusicologiche svolte in Sardegna nel corso degli anni cinquanta si trova ampia documentazione delle poesie di Mereu ma anche nei decenni successivi quelle poesie sono ancora cantate da cori a tenore come da sodalizi artistici o da singoli interpreti della musica etnica isolana.
Alberto Ferrero della Marmora scriveva in Voyage en Sardaigne che nel 1823 la pianura che va da Nuoro a Siniscola era coperta da una fitta foresta che si poteva attraversare passando da un albero all’altro senza mai metter piede in terra. Quegli alberi vennero tagliati negli ultimi decenni del 19° secolo per farne carbone, cenere o legname per le traversine delle ferrovie del nord Italia o perché ne facesse mercato la compagnia olandese che assunse l’appalto.
Le profonde trasformazioni del paesaggio sono oggetto di versi dai toni infuocati nelle poesie del Mereu come anche la mancanza di opportune scelte politiche per l’isola. Mereu intravedeva tuttavia una Sardegna ideale e, intorno al 1995, alla ricerca di uno slogan per Sa die de sa Sardigna, il comitato organizzatore della giornata del 28 aprile si proponeva di adottare Liberos rispettados e uguales con cui si chiude la 45^ terzina di una poesia A Nanni Sulis.
Allo stesso Nanni Sulis è dedicata la poesia da cui è tratto il canto del Gruppo Rubanu di Orgosolo. La canzone nota come Nanneddu meu è ormai la canzone più diffusa a livello popolare nell’isola. Ha avuto numerose trasposizioni da parte di cori polifonici (Tonino Puddu per i cori di Nuoro), da parte di cori a tenore (Armando Piras), da parte di interpreti di canto monodico per il ballo, da parte di numerosi gruppi di musica etnica.
4° brano
Littera a Nanni Sulis
Peppino Mereu
Gruppo Rubanu Orgosolo 2’36
1 2
Nanneddu meu Semus in tempus
su mundu est gai de tirannia
a sicut erat in famidades
no torrat mai e carestia
3 4
Como sos populos Famidos nois
cascan che cane semus pappande
gridende forte pane e castanza
cherimus pane terra cun lande
5 6
Terra ch’a fangu Semus sidìdos
torrat su poveru in sas funtanas
sentza alimentu pretende s’abba
sentza ricoveru parimos ranas
7 8
Peus su famen Avvocadeddos
chi forte sonat laureados
sa janna a tottus busciacca bòida
e no perdonat ispiantados
9 10
In sas campagnas Cando est famìda
pàppan mura s’avvocatzia
che crabas lanzas cheret chi penset
in sa cresura in Beccaria
11 12
Mancu pro sognu Sos tristos corvos
su cuisìtu a chie los lassas
est de cumbincher pienos de tirrias
tantu appetitu e malas trassas
13 14
Canaglia infame Ma no bi torran
piena de braga a sos antigos
cheres s’iscettru tempos de infamias
cheres sa daga e de intrigos
15 16
Pretan a Roma S’intulzu apostolu
mannu est s’ostaculu de su Segnore
ferru est s’ispada si finghet santu
linna su bacculu ite impostore
17 18
Sos corvos suos Maccos famidos
tristos molestos ladros baccanu
sun sas iscòrrias faghimos nemos
de sos onestos alzet sa manu
19 20
Adiòsu Nanni Ca tantu l’ides
teneti contu su mundu est gai
faghe su surdu a sicut erat
betati a tontu no torrat mai
Contemporaneo del poeta tonarese, Salvatore (Bore) Poddighe (1871-1938) di Dualchi, fu poeta improvvisatore e poeta di meditazione. Minatore nell’Iglesiente ha lasciato una ricchissima produzione di versi endecasillabi in gran parte dedicati all’analisi della società umana e delle sue ingiustizie. Anche in lui è radicato quel socialismo utopistico trovato in P. Mereu ma mentre nel poeta tonarese le invettive si risolvevano in componimenti alquanto contenuti, in Poddighe l’analisi è dettagliata ed occupa un gran numero di ottave in veri e propri componimenti.
Egli è autore di un poema di 258 ottave composto fra il 1915 ed il 1917 e pubblicato per intero nel 1924 in 3.500 copie: Sa mundana cummedia. Obiettivo dell’analisi di quelle ottavas serràdas è di cercare l’origine dell’ineguaglianza fra gli uomini. Considerata l’estensione del poema, lo stile del poeta a tratti risulta particolarmente efficace e diretto mentre a volte è delicato nella scelta della metafora.
5° brano
Sa mundana cummedia (strofa 69. 3^ parte)
Bore Poddighe
Cuncordu Battor moros di Fonni 3’17’’
S’ape cantu fatigat e peleat
pro fagher de su mele concuista
a su tempus chi at fattu sa provvista
andat su mere e bi nde la leat
a trivagliare totu s’annu inpreat
e nde tenet sa parte pius trista
no podet de su sou issa disponner
ch’est su tantu de biver pro no morrer
Largamente diffusa fra i minatori dell’Iglesiente Sa mundana commedia si diffuse ben presto nei vari comuni dell’area di lingua campidanese come logudorese. Ottave di Sa mundana sono intonate da tantissimi cori a tenore anche in tempi recenti. Ad ascoltare le registrazioni effettuate per i rilevamenti etnomusicologici da Giorgio Nataletti, da Diego Carpitella e da Franco Cagnetta a partire dal 1950, i versi cantati sono in gran parte tratti dal poema del Poddighe, specialmente ad Orgosolo.
Lo spirito che animava quei cantori è il medesimo che spingeva al canto Peppino Marotto. Il poeta-cantore sindacalista orgolese canta nella raccolta 026 del CNSMP del 1955 proprio alcuni versi di S. Poddighe tratti da Sa mundana cummedia.
Nel 1969 Peppino Marotto incideva, insieme ad un coro a tenore alcune sue poesie in cui parlava delle difficoltà dell’emigrazione e si esprimeva in maniera marcatamente schierata contro l’oppressione e lo sfruttamento.
Era nata una nuova forma di espressione nella musica sarda di tradizione che avrebbe prodotto uno dei fenomeni più interessanti e da cui dipende l’affermarsi di quel fenomeno complesso che va sotto il nome di musica etnica: il Gruppo Rubanu di Orgosolo.
Giuseppe Nicolò Rubanu canta come basso del canto a tenore ma soprattutto è fisarmonicista e suona e canta delle composizioni proprie come anche dei testi tratti dalla tradizione.
Il 6° brano che propongo per chiudere la mia trattazione è una poesia dedicata non ad un luogo del salto comunale di Orgosolo ma alla lotta che nel 1969 venne condotta da tutta la cittadinanza orgolese. Per combattere il banditismo imperante in quegli anni venne proposto di tutto, perfino il bombardamento con napalm del Supramonte. Venne invece impiantata una base militare proprio sui terreni comunali su cui i pastori pascolavano le proprie greggi dopo il rientro dalle pianure in cui transumavano per svernare.
La poesia di Rubanu, oltre ad esaltare le gesta della popolazione orgolese contro la presenza militare, costruisce un limite di demarcazione sulle attese dei sardi verso una promessa rinascita mai mantenuta dal governo centrale.
6° brano
Pratobello
Giuseppe Nicolò Rubanu
Gruppo Rubanu Orgosolo 3’07
Orgosolo pro terra de bandidos
fin’a eris da tottu fis connotta
ma oe a Pratobello tottu unidos
fizos tuos falàdos sun in lotta
contra s’invasione militare
chi a inie fit faghende rotta
imbetzes de trattores pro arare
arriban carrarmaos e cannones
e truppas de masellu de addestrare
mandâs dae sos solitos buffones
chi cheren chi rinascat sa Barbagia
chin parcos pro sas mugras e sirvones
naran puru chi sa zente est malvagia
chi viven de furtos e ricattos
in sa muntanna infida e selvaggia
pro che finire custos malos fattos
e dare a sa Sardigna atera via
custos buffones detzidin cumpattos
de mandarene galu polizia
sos contadinos e-i sos pastores
e tottu canta sa zente famìa
isettavan concimes e trattores
pro aer pius latte e pius pane
chi imbetzes tottu an dadu a sos signores
a Rovelli Moratti e s’Aga Kane
poverinu e miseru s’anzone
ch’isettat latte da su mariane
e d’issu poi si prenat su buccone
d’Orgosolo fiera e corazosa
tottu canta sa populatzione
tottu custu at cumpresu e minacciosa
essit armâ de fuste pro iscacciare
cussa truppa fascista e odiosa
chi custrinta est asegus de torrare
lassande saa muntannas e pianos
attraessende da nou su mare
non che bandidos ma che partigianos
an dimostradu a sos capitalistas
chi solu chin su fuste e chin sas manos
Orgosolo che mandat sos fascistas.
Naturalmente le doléances della Sardegna non sono esaurite e ancora oggi i sardi troverebbero poesie per elevare la protesta.
Note biblio-discografiche
1°
Il primo brano è tratto da Ventanas – Materiales e maneras de limba e cultura sarda pro sas iscolas di Andrea Deplano, 2000.
“Cànticos de s’identidade in s’istoria sarda: dae Frantziscu Innassiu Mannu a sas cantones pro sa Rinaschida e contr’a s’oppressione”
In sardu si narat “Feli spingit boxi”: s’amargura, su dolore, ispinghet sa boche. Che de narrer chi est su dispiachere chi movet semper su cantu. Est beru solu in parte, sa litteradura sarda abbundat de poesia in ue si cantat sa bellesa de s’amore: pensade a sas cantones de Paulicu Mossa de Bonorva.
In su tema chi so a puntu a trattare su cantu at a esser, a donzi contu, su mezu chi at a permitter de bider sa Sardinna da-e foras –po sas bisùras prus abbidentes comente su paesazu e sa natura- ma at a esser utile puru po cumprender su naturale de sos sardos e pensare supra s’istruttura antropologica de custu populu.
In Sardinna b’aìat duos modos de cantare: cantare po attatzare cambas de poesia e cantare sos versos zai sestados innantis dae cantadores o dae poetas a taulinu. In su primu casu su cànticu est su de sos cantadores o poetas a bolu. Si trattat de una zenia de troubadours o trouvères chi cantande a dispùta in garas chi an formas e ghettos de attatzare fissos divertìan, ma mascamente educaìan, sas comunidades de sas biddas.
In su de duos casos son sas boches po su ballu chi pesaìan cantones, a bortas improvvisande, ma su bonu de sas bortas cantande cantones sestàdas a taulinu.
In chirros de mesu e de su norte de s’isula, dae Aristanis a ghennas de Tatari e dae Supramonte finamentas a Gaddura, a cantare sos testos de sa poesia in rima fit su tenore.
Sas poesias fin imparàdas a memoria e bivìan su tempus chi durat sa cantàda. Bona parte de sa poesia de sos cantadores a dispùta s’est pèrdia sorvendesi che nie a su sole po sa sustassia lèvia de sos versos, fuiditos gasi etottu comente sa ghipa de sos chi ascurtaìan in su mementu de s’incantu de sa festa.
Fintas a sa fine de su settichentos, pacas poesias nos arriban grassias a sa retentiva de sa zente.
In tempus de su de decheotto seculos, a donnia modu, in sa poesia a bolu in limba campidanesa, amus unu muttettu de toccu particulare de su cantadori de Cuartucciu Ciccheddu Olata.
1° cànticu
Muttettu
Ciccheddu Olata (1763-1833)
Boxi: Piero Marcialis
Sterrìna
A Arremundu Corona
B su majori capu
C est personi capaci
D ma tui d’odiàsta
E ca mali ddi bolìasta
Torràda
E’ B’
Si bivìasta scapu
D’ C’ A’
portàsta facci bona
Sa sustassia de sa poesia est inserràda in sa camba de Torràda. Est narau in cucuzàntzia e, a prima miràda si diat narrer fintas in suspu. Sa torràda o Rima inserrat unu depositu de paraulas-rima chi torran chin sas paraulas cantàdas in sa Sterrìna. Tra sos faeddos chi fràican sas ritrògas de su Muttettu essit lucoròsu s’aggettivu scapu (liberu).
Olata s’attrivit, in epoca feudale, a allegare de libertade de sas personas. S’ammentu de custu cantadori est galu biu tra sas personas chi sìzin sa poesia cantàda e sos versos suos aìan fattu tacca in medas populanos approntande su terrinu po sa reverdìa antifeudale in Capu de josso.
Tra sas cantones chi pintan sa sotziedade de fine de su settichentos e chi sonan galu po carattere populare fintas a dies nostras chin bonu sentìdu, b’at unu Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios.
Cumpostu dae Frantziscu Innassiu Mannu in unu sestu de poesia meda cara a su populu, sa forma de sos Gosos, sa poesia connotta comente Barones sa tirannia, la cantan catervas de pesadores de su cantu sardu.
Sa prima borta chi l’an cantau in discu fit in su 1973, pesadore s’orgolesu Pippinu Marotto in su discu-libru Musica sarda – Music of Sardinia a intertenimentu de Diego Carpitella, Pietro Sassu e Leonardo Sole. Marotto cantat unos cantzicheddos de sa poesia a ballu tundu paris chin sos tres petzos de su tenore Supramonte de Orgosolo. Dae tando sa cantone s’acattat in sos apparattos discograficos de medas cussertos, cuncordos e coros comente puru de trumas de sonadores e cantadores de sa chi si narat world music, naschìos in sos annos settanta de su de binti seculos. S’urtima proa, donosa finas po sa chirca filologica, est su compact disc Barones de su tenore Cultura popolare de Neoneli chi cantat a tenore, chin s’accumpanzamentu de sas launeddas de Orlando Maxia ma prus e prus, ponende a cantare cantadores-autores e cantantes famaos de sa musica italiana tra sos cales Guccini, Baccini, Elio de Le storie tese… S’operatzione atrogat chi custa poesia podet esser unu veritabile mezu po connoscher e diffunder s’istoria, sa poesia, sa cultura e, no urtimu, sa limba de sa Sardinna.
Su cànticu chi proponimus est leàu dae su cd Su lamentu de su pastore de su Gruppu Rubanu chi aìat intzisu su discu lp 33 ziros in su 1974. Pesan unas cantas ottavas de sa cantone e s’urtima tela chi s’intendet est sa chi aperit sa cantone de s’Innu. Cussos versos ottonarios an balore de menetta a su signore feudatariu mentras chi sas ateras telas cantàdas son propostas po indittare, ponende a cuffrontu, sa differessia de sistema de bida tra feudatarios e vassallos.
2° cànticu
Innu de su patriottu sardu a sos feudatarios
Frantziscu Innassiu Mannu
Gruppu Rubanu de Orgosolo
Su riccu feudatariu
a sas ùndighi si pesat
da-e su lettu a sa mesa
da-e sa mesa a su giogu
e poi pro disaogu
bandat a cicisbiare
lompet a iscurigare
ballu treatu allegria
Procurade ‘e moderare
barones sa tirannia
Cantu differentemente
su poveru passat s’ora
innantis de s’aurora
già est bessìdu in campagna
bentu e nie in sa muntagna
in su paris sole ardente
o poverittu comente
lu podet agguantare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Cun su tzappu e cun s’aradu
tribagliat tottu sa die
a ora de mesudie
si tzibat de solu pane
menzus paschìdu est su cane
de su barone in tzittade
sende cudda calidade
chi faltat a sos de importare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
O poveros de sas biddas
tribagliade tribagliade
pro mantenner in tzittade
tantos caddos de istalla
a bois lassan sa palla
issos si tenen su granu
e pensan sero e manzanu
solamente a ingrassare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Naschet su sardu suggettu
a milli cumandamentos
tributos e pagamentos
chi faghet a su segnore
in bestiamen e in laore
in dinare e in natura
e pagat pro sa pastura
e pagat pro tribagliare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
ca si no pro vida mia
torrades a pé in terra
declaràda est già sa gherra
contra de sa prepotentzia
e comintzat sa passientzia
in su populu a faltare
Barones sa tirannia
procurade ‘e moderare
Su sestu, s’istruttura e sa sustassia de custa poesia, cussentìan chi s’ispargheret in cada parte de sa sotziedade, cussiderrande su carattere populare de sa criassione poetica.
A seperare cussa longhìa de cambas de otto sillabas, dae parte de su poeta, est reventìu abile e surprendet su sèperu de sa forma de sa cantone: sos Gosos da una banda e sa Cantone torràda dae s’atera. Sos Gosos fachen sa mannària de su corpus de sa litteradura agiografica e an àpiu imprèu a larga manu dae parte de religiosos e zente de su populu devota. A s’istrofa, chi si narat tela, sighit una duìna de torràda chi serrat sa rima chin s’urtimu versu de sa tela. In s’Innu si prodùit sa possibilidade de interiscambiare s’ordine de sos duos versos po cunzare sa rima in –are o in –ia. In sa torràda che la collit chie sisiat, la cumprenden in derettura, e l’ammentat fatzile cadaùnu.
Custos elementos an intregau s’appretzu chi su populu at a custa cantone chi po medas est s’innu de sa Sardinna.
S’atera poesia, tra sas prus famàdas tra sos cànticos de protesta in limba sarda, lompet in forma anonima a sas zenerassiones secustiànas e galu oje no si resessit a narrer chin securassia chie at postu sa cantone. B’at a chie narat chi est de Baìnzu Achena, unu religiosu de su cale amus petzi duos Gosos e de su cale ischimus ca si ch’est mortu, oramai meda antzianu, in su 1829.
Po dechinas de annos aìan indittau a Mertziòro Murenu comente autore de una cantone de 110 istrofas e a inue appartenen custos battor versos.
In su 1820 Vittorio Emanuele I bocaìat s’Edittu de sas Cresùras chin su cale si creìat de poder dare irviluppu a s’agricoltura e determinande, de facto, s’istitussione de sa propiedade privàda in una sotziedade chi aìat unu sensu sagrau de terra pùbrica. Foras de sas terras infeudàdas a sos pacos segnores feudales, tottu sa populassione bivìat unu sistema paleo-comunista in ue sas terras fin de totta sa collettividade. Cadaùnu fit mere e nemos possedìat nudda e gasi, a-intundu de sas biddas si podìat irviluppare s’agricoltura cambiande sas colturas in unu sistema de produssione eredau dae anticòriu.
A privatizare sas terras fin pacos contr’a s’interessu de bona parte de sos sardos chi restèin brivos de terrinos de prenare e de pascher.
3° cànticu
Tancas serràdas a muru
Mertziòro Murenu o Baìnzu Achena
Tenore Supramonte de Orgosolo
Tancas serràdas a muru
fattas a s’afferra afferra
e si su chelu fit terra
l’aìan serradu puru
Sas paraulas de sos battor versos no offèrin tòpos de las marcare. Mancan colores. Mancan aggettivos particulares. Podet esser posta dae poeta de Marghine comente de Locudoro, de Pianarza o de Montiferru. Si che bidet craru-craru su carattere populare de sa poesia: chie sisiat l’aìat pòtia sestare, fintas su cantadore turpu de Macumele Mertziòro Murenu.
A custu lu morzein in su 1851 fachendelu ruer dae sas rocas de Macumele. Fortzis po more de sas cantones chene criansa po una zovana chi fit s’antzedda de unu nobile de sa bidda, fortzis po more de sas satiras arzinìnas po biddas intreas o po personas singras ma, prus che tottu, po aer cumpostu custos battor ottosillabos.
A cumentzu de cust’allega narao chi diat esser istau a modu a facher unu biazu po connoscher su territoriu sardu. Fintas a s’edittu de sas cresùras su paesazu fit differente meda. Sas operas in muros chi si podìan bider fin sos nuraches o sos muntones de predas collìas a pare po poder coltivare chin àsiu sos terrinos. Una borta privatizàdas sas terras, in sa banda de daintro de s’isula su marcu abbidente est su partizòne a minùdu de sos terrìnos cucuzaos dae muros a sicu postos po cunzare in sas dechinas de annos infattu.
Sos fattos de cussas dechinas de annos, dae su 1820 a su 1858, comprendènde fintas su superamentu de su sistema feudale, no aìan produìu unu mezòru de su modu de biver de bona parte de sa populassione sarda. Antis, chin sa bèndida de sos terrinos de su demaniu in su 1868, s’istadu de s’economia de sas populassiones sardas si fit aggravau semper peus.
A sos campos derettu a intundu de sa bidda allacanaìan sas terras de su demaniu inue su populu podìat collìre lande po sos rese e facher linna po si caentare.
S’imprèu de cussas terras permittìat a su sardu de imprestare, a sa limba italiana, sa paraula aumprèu, ademprivio, po allegare d’una costumàssia chi fit istitutu zuridicu de sa tradissione de seculos.
Su benner mancu de cussas terras de su demaniu aìat impoverìu de su tottu sos abitantes de sos comunes isulanos. In medas biddas sutzedìan rivolussiones de populanos chi dimandaìan a torrare a sas costumàssias de una bìa. In Nuoro, sas reverdìas de su 1869 chin sas cales sos nuoresos pedìan a torrare a su connottu abbarràin friscas in sa mente de medas galu a metade de su seculu apustis e mentovaos chin una opera de treatu iscritta dae Romano Ruiu.
Sas condissiones de bisonzu e povertade in sos dech’annos a pustis aìan zuttu a sa prima aundàda (1880) de emigrassione, conca a Corsica e a su continente italianu.
Tzertu, medas poetas apein su corazu de attatzare contra a cust’istadu de cosas de cussu seculu ma no nos at lòmpiu testimonìa iscritta e sas collìdas a pare de bundu de Jubanne Ispanu, comente de sos ateros chircadores de sa poesia populare, an evitau de ponner in antologia su tema de sa ghessa.
Tocat a irvettare unu de sos poetas prus istimaos dae sos cantadores populares, Pippinu Mereu (1872-1901) de Tonara, po imbenner una litteradura de protesta sestàda no petzi in sa metrica ma fintas a pittu de una cantidade manna de temas. Custu fachet de Mereu unu de sos autores prus connottos in su cantu populare sardu. Mereu est istau tra sos primos chi an respirau cussu bentu de su sotzialismu utopisticu de cumentzu.
In su breve cursu de sa bida sua at cantau contra a cada inzustissia chin boche forte e crara. At pesau sa boche contra sos preides, at cundennau s’inegualidade in donzi forma: primu de donzi ateru at imperau cantande cada sestu e froma po cantare in minispreju e in risu contra sos potentes.
Sas poesias de P. Mereu si son fattas, in su tempus, simbulu po cuntestare e donzi chedda de cantu profanu a prus boches at pesau sos versos suos mentras sas poesias de ateru tema s’acattan in sas intzisiones e registratziones de sos coros polifonicos in totta s’isula. In sas chircas etnomusicologicas fattas in Sardinna a bia de sos annos chimbanta s’acattat testimonìa bundante de poesias de Mereu ma fintas in sas dechinas de annos infattu, cussas poesias son galu cantàdas dae coros a tenore comente dae trumas de artistas o dae cantadores singros de sa musica etnica sarda.
Alberto Ferrero della Marmora iscriìat in Voyage en Sardaigne chi in su 1823 sa pianura chi andat dae Nuoro a Tiniscole fit cucuzàda dae una furesta gosi carca chi si podìat rucare colande dae s’unu arvore a s’ateru chene ponner mai pé in terra. Cussos arvores los an tallaos in sas urtimas dechinas de su de 19 seculos po nde facher carvone, chisina o linnamen po sas traversinas de sas ferrovias de su norte de Italia o puru nde fatteit cummertziu sa companzìa olandesa chi leàit s’appaltu.
In sas poesias de Mereu, sos istramudimentos mannos de sa natura son ozettu de cànticos in tonu de arrennegu, comente puru sa mancantzia de sèperos politicos adecuados a s’istadu de cust’isula. Mereu ch’arrampanait, in donzi modu, una Sardinna ideale e, a bia de su 1995, chircande un’allega po Sa die de sa Sardigna, su comitau organizadore de sa die de su 28 aprile si proponìat de leare Liberos rispettados e uguales chin sa cale serrat sa de 45 tertzinas de una poesia A Nanni Sulis.
Semper a Nanni Sulis est intregàda sa poesia da ue leamus su cantu de su Gruppu Rubanu de Orgosolo. Sa cantone connotta comente Nanneddu meu est oramai sa cantone prus diffusa a livellu populare in s’isula. L’an arranzàda coros polifonicos (Tonino Puddu po sos coros de Nuoro), Armando Piras (po su cantu a tenore), medas cantadores singros po pesare su ballu, medas trumas de sa musica etnica.
4° cànticu
Littera a Nanni Sulis
Pippinu Mereu
Gruppu Rubanu Orgosolo 2’36
1 2
Nanneddu meu Semus in tempus
su mundu est gai de tirannia
a sicut erat in famidades
no torrat mai e carestia
3 4
Como sos populos Famidos nois
cascan che cane semus pappande
gridende forte pane e castanza
cherimus pane terra cun lande
5 6
Terra ch’a fangu Semus sidìdos
torrat su poveru in sas funtanas
sentza alimentu pretende s’abba
sentza ricoveru parimos ranas
7 8
Peus su famen Avvocadeddos
chi forte sonat laureados
sa janna a tottus busciacca bòida
e no perdonat ispiantados
9 10
In sas campagnas Cando est famìda
pàppan mura s’avvocatzia
che crabas lanzas cheret chi penset
in sa cresura in Beccaria
11 12
Mancu pro sognu Sos tristos corvos
su cuisìtu a chie los lassas
est de cumbincher pienos de tirrias
tantu appetitu e malas trassas
13 14
Canaglia infame Ma no bi torran
piena de braga a sos antigos
cheres s’iscettru tempos de infamias
cheres sa daga e de intrigos
15 16
Pretan a Roma S’intulzu apostolu
mannu est s’ostaculu de su Segnore
ferru est s’ispada si finghet santu
linna su bacculu ite impostore
17 18
Sos corvos suos Maccos famidos
tristos molestos ladros baccanu
sun sas iscòrrias faghimos nemos
de sos onestos alzet sa manu
19 20
Adiòsu Nanni Ca tantu l’ides
teneti contu su mundu est gai
faghe su surdu a sicut erat
betati a tontu no torrat mai
Bìviu in su propiu tempus de su poeta tonaresu, Sarbadore (Bore) Poddighe (1871-1938) de Duarche, fut poeta improvvisadore e poeta a taulinu. Minadore in s’Igresiente at lassau una cantidade manna de versos de undichi sillabas po bona parte dedicaos a s’analìzu de sa sotziedade umana e de sas inzustissias de custa. In issu puru at postu raichìna cuddu sotzialismu utopisticu chi amus acattau in P. Mereu ma mentras in su poeta tonaresu sas ghessas leàin pacu trettu in intro de poesias curtzas, in Poddighe s’analìzu est colau in su pèttene fine e leat unu numeru mannu de ottavas in veritabiles grobbes.
Est autore de una poesia de 258 ottavas posta tra su 1915 e su 1917 e publicau tottu paris in su 1924 in 3.500 copias: Sa mundana cummedia. Obiettivu de s’analìzu de cussas ottavas serràdas est de chircare s’orizine de s’inegualidade tra sos omines. Cussideràda sa longària de sa poesia, dae trettu in trettu resurtat foras de dentes e punghicòsu mentras ateras bortas est delicau seperande sa cucuzàntzia de sa capottàda.
5° cànticu
Sa mundana cummedia (strofa 69. 3^ parte)
Bore Poddighe
Cuncordu Battor moros de Fonne 3’17’’
S’ape cantu fatigat e peleat
pro fagher de su mele concuista
a su tempus chi at fattu sa provvista
andat su mere e bi nde la leat
a trivagliare totu s’annu inpreat
e nde tenet sa parte pius trista
no podet de su sou issa disponner
ch’est su tantu de biver pro no morrer
Meda populare tra sos minadores de s’Igresiente s’est luego ispartu in tottu sas biddas de limba campidanesa comente locudoresa. Ottavas de Sa mundana cantan medissimos pesadores de tenore fintas in tempos rechentes. Ascurtande sas registratziones fattas po sas inchertas etnomusicologicas dae Giorgio Nataletti, dae Diego Carpitella e dae Franco Cagnetta a partire dae su 1950, sos versos prus cantaos son in bona parte leaos dae Sa mundana cummedia, mascamente in Orgosolo.
S’ispiritu chi animaìat cussos cantores est su matessi chi ispinghìat a cantare a Pippinu Marotto. Su poeta-cantore sindacalista orgolesu cantat in sa raccolta 026 de su CNSMP de su 1955 propiu unos cantos versos de S. Poddighe leaos dae Sa mundana cummedia.
In su 1969 Pippinu Marotto intzidìat, paris chin sos petzos de unu tenore tres poesias suas inue allegaìat de sas difficoltades de su disterru e si cumprendìat in manera ladina ca fit contrariu a s’oppressione e a s’isfruttamentu.
Naschìat una forma noa de cantare in su cànticu de sa musica sarda de sa tradissione chi diat aer produìu unu de sos fenomenos prus interessantes e da ue dipendet sa creschida de cussu fenomenu chi si muttit musica etnica: su Gruppu Rubanu de Orgosolo.
Zoseppe Nicola Rubanu ponet bassu in su tenore ma prus e prus est toccadore de fisarmonica e sonat e cantat poesias postas da issu e poesias chi leat dae sa tradissione populare.
Su de 6 cànticos chi bos fatto ascurtare pp cunzare s’aarejonu miu est una poesia intregàda no a unu zassu de su sartu comunale orgolesu ma a sa lotta chi in su 1969 fatteit tottu sa zente orgolesa.
Po cumbatter sos medas bandidos de cussos annos an propostu ite sisiat, finamentas a bombardare chin napalm su Supramonte. Su chi fatteitn de veras est una base militare propiu in sos terrinos cumonales inue sos pastores paschìan sa roba cando torraìan dae sas pianuras inue tramudaìan po jerrare.
Sa poesia de Rubanu, a prus de contare sa lotta de sa populassione orgolesa contra sa presessia militare, ponet una làcana in s’irvéttu de sos sardos a bia de sa prominta rinaschida mai mantesa dae su guvernu natzionale.
6° cànticu
Pratobello
Zoseppe Nicola Rubanu
Gruppu Rubanu Orgosolo 3’07
Orgosolo pro terra de bandidos
fin’a eris da tottu fis connotta
ma oe a Pratobello tottu unidos
fizos tuos falàdos sun in lotta
contra s’invasione militare
chi a inie fit faghende rotta
imbetzes de trattores pro arare
arriban carrarmaos e cannones
e truppas de masellu de addestrare
mandâs dae sos solitos buffones
chi cheren chi rinascat sa Barbagia
chin parcos pro sas mugras e sirvones
naran puru chi sa zente est malvagia
chi viven de furtos e ricattos
in sa muntanna infida e selvaggia
pro che finire custos malos fattos
e dare a sa Sardigna atera via
custos buffones detzidin cumpattos
de mandarene galu polizia
sos contadinos e-i sos pastores
e tottu canta sa zente famìa
isettavan concimes e trattores
pro aer pius latte e pius pane
chi imbetzes tottu an dadu a sos signores
a Rovelli Moratti e s’Aga Kane
poverinu e miseru s’anzone
ch’isettat latte da su mariane
e d’issu poi si prenat su buccone
d’Orgosolo fiera e corazosa
tottu canta sa populatzione
tottu custu at cumpresu e minacciosa
essit armâ de fuste pro iscacciare
cussa truppa fascista e odiosa
chi custrinta est asegus de torrare
lassande saa muntannas e pianos
attraessende da nou su mare
non che bandidos ma che partigianos
an dimostradu a sos capitalistas
chi solu chin su fuste e chin sas manos
Orgosolo che mandat sos fascistas.
Est craru chi sas dolentìas de sa Sardinna no son accabbàdas e galu oje sos sardos dian acattare poesias po pesare arta sa protesta.
Notas biblio-discograficas
1°
Su primu ascurtu est leau dae Ventanas – Materiales e maneras de limba e cultura sarda pro sas iscolas de Andria Deplano, 2000.