Candu su zéniu si fachet musica

Candu su zéniu si fachet musica
nel booklet allegato al cd Sentidos con miscellanea di canti di Orune a cura del tenore Santu Sidore

2021


 

Cando su zéniu si fachet musica
La timbrica de sas boches [’šar ’vokks] de Orune dispone all’ascolto.
Risiede nell’impasto sonoro della coerenza fonologica di Orune il segreto di quell’attrazione che fa preferire i cantori orunesi a quelli di tanti altri comuni. L’udito è apparecchiato come a ricevere la visita di un amico di lunga data che non si vede da tempo. Battit sos contos de sa bidda!
Le voci soliste orunesi impiegano grande investimento di passione nell’interpretare i testi poetici ma, anche senza questo, il calore della loro vocalità si fa prezioso alle orecchie di chi ascolta.
Non è qualità personale.
È peculiarità di una intera comunità paesana. Segna la /s/ distintiva in tutte le sue possibili colorazioni: un suono che si combina in svariati esiti
fonetici, incuriosisce e ammalia. Fa simpatia. Non è frequente, ma càpita di percepire perfino un colpo di glottide al posto della pronuncia della /s/ e quando questo avviene, libera empatia. Addirittura il nesso /nd > nn/ scivola rotondo nell’esposizione del verso proferito da boche [’bokk] orunesa. Tanta alchimia di suoni fa passare in secondo piano la carica di significazione delle parole dei versi.
L’immagine sonora ha il sopravvento su tutto.
Descrive un paesaggio privo di connotazione temporale. Non esiste ancoraggio a periodo storico. Su cantonzu fonde, ricicla, mescola per ridare vitalità a versi poetici d’antan come a stilistiche di interpreti di epoche passate in un rielaborato presente. Si attinge da-e su connottu per formulare il
codice odierno. Questa è la tradizione ed Orune, nel suo repertorio canoro, vanta una molteplicità di stili, di forme, di archétipi da cui attingere a piene mani per formulare l’espressione dell’oggi.
Stilistiche personali, prodotte dall’estro di rodati esecutori caratterizzano forme espressive legate a precisi periodi storici e sono riconoscibili all’orecchio allenato di chi, nel corso degli anni ha ascoltato i cantori nei bar e nelle feste, ha collezionato registrazioni amatoriali o prodotti discografici e qua e là, riaffiorano come codici di un patrimonio collettivo condiviso vissuto come bagaglio identitario. Sembrava che i prodotti dell’industria discografica degli scorsi decenni avessero cancellato quella ciclica esclamazione Eh! che marca, per sottolinearne l’apprezzamento, le articolazioni de su tenore nel ballu seriu, quanto quei giochi di rimando (ba ra dan – ba ra dan) fra una voce del coro ed il resto dei cantori che distinguono l’articolata 13° traccia audio di questa raccolta, o come la ripetizione ravvicinata di quel bola-bola-bola per dare brio alle ornamentazioni della mesu-voche. Riemergono come un esempio di carsismo della storia culturale e musicale in
queste registrazioni. Un patrimonio sempre vivo capace di abbattere le barriere temporali.
C’è memoria collettiva!
In musica, tutto si combina, vecchio e nuovo.
Cionondimeno questi canti sono essenziali, non ricercati, spontanei. Freschi nella genuina
espressione popolare di chi ‘sente’ di volere e dovere fare canto.
Due sole forme espressive percorrono l’intera raccolta di 14 brani: Sa boche ’e notte e su ballu seriu. Esse misurano il sentimento dell’appartenenza ad Orune, a sa bidda, a sa zente con cui si condivide il significato di collettività villaggio.
Si misura con l’intensità della boche longa il senso di quel sentimento di radicamento. Non si materializza nel nostalgico e struggente A s’ora de sa partentzia / de su longu viagiu de s’Emigradu di Giovanni Sotgiu o di alcuni versi scelti fra le undichinas di quel corposo componimento. Veste anche le parole Terra forte e gentile custu cantu di Peppinu Mereu.
Il nodo di quel sentimento si scioglie nel passaggio alla forma esecutiva a corfos [a ’kroffos].
La partecipazione emotiva è dosata, mantenuta, controllata. La misura è presa e su quei calcoli si può giocare e costruire musica.
Lo spessore timbrico che agisce diventa ritmo, ingrossa le coloriture della voce, riscalda suoni, plasma il canto.
Guida l’esecuzione il cantore solista che opera sul materiale linguistico dei versi. Appoggia con sapienza sulle sillabe forti, spinge con competenza sulle vocali aperte e sorvola con leggerezza su vocali chiuse. Saltano gli schemi della confezione testuale e si opera un salto di registro importante.
Peppinu Mereu (Deo so in sa patria nadìa) lascia spazio, nel terzo brano, a Per me si va nell’eterno dolore / per me si va nella città dolente dal canto III dell’Inferno di Dante Alighieri.
Nella creazione musicale tutto si tiene.
I versi di un poema di un poeta passano e lo sviluppo della cantàda prosegue con parole di testo di un altro poeta.
È l’annientamento della significazione testuale a favore del pretesto musicale: la parola è suono ancor prima che significato ed il canto si nutre di suono.
La tradizione popolare vive di esigenza di fare canto e non di progetto della performance.
Basciu e contra contrappuntano. Procedono in perfetta sincronia e, in quella realizzazione, si percepisce in concreto il senso dell’intesa, dell’armonia, dell’unità di intenti.
L’ascolto è ammirato e partecipe.
Lo stridere della sillaba /ba/ nella abbasciàda si riequilibra nella piena, calda e dolce rotondità delladesinenza /bo/ de s’artziàda come nei corfos di chiusura di sviluppo.
Questo tappeto sonoro produce sensazione.
Chi ascolta sa apprezzare il misurato intervento: chi non conosce il canto a tenore resta meravigliato da tali combinazioni di suoni.
Sono frasi musicali sempre nuove, rivisitate nell’intesa fra la parte vocale del basciu e la parte della contra, vissute nell’esperienza del fare canto degli interpreti, rinnovate, di volta in volta, nel gusto estetico di ciascuno dei due e nella sapienza musicale innata. Naturalezza e arte si compenetrano,
agiscono insieme.
Le due voci gravi del coro stanno in leggera attesa l’uno dell’altra. Si rincorrono, si tengono, si lasciano per ritrovarsi nella durata infinitesimale della produzione di una sillaba sonora.
La contra compie una fuga in avanti per scrivere in modo personale un segmento di quella partitura antica quanto il canto corale.
Si sofferma su una desinenza sillabica /bi/ inusuale nel gioco di creazione sonora.
Ogni secondo di produzione de su tenore è una composizione sempre nuova, imprevedibile.
La mesu-voche aiuta, agevola, combina, unisce, ammanta, copre e disvela, s’avvicina e si distanzia.
Disegna traiettorie di non senso. Occupa spazi di fusione delle sonorità. Attìnat per dare modo alla contra di creare in solitudine e si libra perché basciu e contra si ricongiungano. È voce di ricamo.
Impreziosice e adorna.
Si distinguono voci di interpreti solisti differenti nello stesso brano. L’uno prende il posto dell’altro.
Il segreto è conoscere il giusto momento del subentrare, del mettersi in gioco come boche [’vokk].
Non sovrapposizione, non giustapposizione: leàre sa voche senza alterare su puntu de su tenore è abilità appresa nella palestra del canto della tradizione popolare. Appartiene alla necessità del donare il proprio contributo a s’ispaju.
Si può suddividere il canto di strofe di un poema in una dimostrazione di abilità sulla conoscenza del poema ma, nel canto a boche leàda non esiste competizione. Solo il piacere di partecipare fa da stimolo all’ingresso di una voce nel canto affinché ciascuno possa contribuire a su divertimentu.

 

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