Il canto a tenore di Bitti

Il canto a tenore di Bitti
Tenore Remunnu ‘e Locu di Bitti

Presentazione e testi a cura di A. Deplano
1999, Edizioni Frorìas


Fino agli anni Settanta, in gran parte dei paesi dove il canto a Tenore era uno dei pochi mezzi di comunicazione di massa e formidabile strumento di aggregazione sociale, non era raro contare diverse centinaia di cantori nei vari ruoli.

Tanta partecipazione era il segno di un sentire comune dei codici della comunicazione interni alla comunità paesana che li perpetuava, li difendeva e tramandava, in forma di scuola impropria, rafforzandoli e rinvigorendoli nell’uso anche di rivisitazioni adattate alle nuove percezioni ritmiche, musicali e testuali dei componenti la collettività.

Raggiunti i 12-13 anni i maschi erano pronti a iniziare a cantare lavorando sulle corde vocali fino a mettere a punto quel curiosissimo strumento vocale che determinerà il ruolo con cui entreranno a far parte del quartetto di canto a Tenore.

Con il passare del tempo si affinavano le tecniche del canto sperimentando ogni sera nei bar o agli angoli delle strade la capacità intonativa delle voci e il saper costruire la migliore tessitura armonica con gli altri componenti.

La pratica dell’ascolto degli adulti e l’esecuzione di canti costruivano la scuola di formazione dei nuovi cantadores: si definiva la Boche intonata o stonata (iscusserta), si apprezzava la voce tenorosa perché sapeva esprimere sentimento nel far sgorgare dal petto i versi più belli ma si accettava anche la voce nasale (muidòsa), e in mancanza d’altro anche la voce mezzàna di colui che difficilmente avrebbe perfezionato il proprio stile.

La solitudine dei pascoli portava quasi naturalmente i custodi (vardianos) degli armenti a cantare da soli e questo li rendeva incapaci di determinare i movimenti musicali del coro.

Il canto era vissuto in paese come alta forma di espressione della capacità di socializzare, ma nell’attività economica di ciascun individuo serviva per scandire i ritmi del lavoro. Così nell’aratura su massaju e nel trasporto su carrulante eseguivano dei canti sul ritmo dei pesanti passi del bestiame bovino (vedi Voche de torrare voes di Orosei).

Diverse aggettivazioni caratterizzano invece le voci del coro: sul piano timbrico si definisce cupa oppure muilòsa (metallica) la voce gutturale della Contra che può cantare in modo lineare oppure a irmattadura o a irborroschiu.

L’armonia del coro si stabilisce essenzialmente nel giusto accoppiamento delle qualità timbriche della Contra e del Basso.

Il Basso ascrau (forzato) è incapace di mantenere a lungo la particolare forma di fonazione per insufficienza respiratoria. Il giogo si costruisce con elementi di carattere diametralmente opposto ma di pari forza: alla Contra metallica si affianca o il Bassu tundu (cupo e chiuso) o il Bassu furriau, cupo e discreto, mentre alla Contra cupa si affianca il Basso sonoro (àrridu).

Il duo gutturale dovrà affiatarsi velocemente nella produzione musicale per evitare che il Bassu sia mùdulu o chìchinu come si dice del Basso che non conosce le desinenze vocaliche usate dalla Contra e pertanto apre leggermente le labbra per produrre un suono vocalico indefinito.

Alla Mesu-‘oche è affidato il compito di guidare e ornare il suono prodotto da Basso e Contra senza disturbare (istemperare e carrarjare) con la propria presenza l’accordo delle due voci gutturali.

Bitti non sfuggiva a questa maniera di vivere le tradizioni.

Nella memoria collettiva degli abitanti del paese sopravvivono le cantate eseguite nelle diverse forme del repertorio del canto a Tenore. Riaffiorano con vivo piacere nel ricordo le voci particolarmente belle di Amarette e di Bustianu Bandinu fra gli anni Quaranta e Sessanta.

Sono gli anni in cui il canto è ancora vissuto quasi solo in ambito paesano, non si conosce ancora quel fenomeno di revival dal quale scaturisce il folklore isolano fatto di grandi sagre dove le espressioni coreutico-musicali dei paesi vicini trovano lo spazio di vetrine espositive. Né hanno ancora larga diffusione i mezzi di registrazione e riproduzione sonora grazie ai quali si sviluppò anche nell’isola il mercato discografico sul finire degli anni Sessanta. Fra i rari documenti esistenti, alcuni brani registrati il 29 Settembre 1955 ad Ozieri attestano la presenza musicale bittese fuori dai confini paesani.

Una Campanedda dringhijòla annuncia ufficialmente la nascita sul mercato discografico di una formazione di cantori adulti, nel 1976.

Colpisce questo prodotto per la scelta di testi che raccontano di un vissuto canoro bittese sui versi di Mialeddu de Crapinu e di Antonio Cimino, trasposti nelle melodie della Boche ‘e notte fra Istèrritas e Corfos, dei balli Seriu e Lestru. Affascina la contemporanea presenza di canti che attestano una forte partecipazione popolare ai riti religiosi come ai momenti di creazione poetica dei Muttos e de s’Andìra resi nell’esperienza canora dalla voce muidòsa (nasale) di Pasquale Pittalis.

Emoziona l’affiatamento fra la Contra metallica di Tancredi Tucconi e il Basso discreto di Salvatore Bandinu nel creare musica sugli stimoli della Voce di Piero Sanna sui ritmi di T’amo pro chi dotada ses naschìda fino alle brillanti ornamentazioni della Mesu-‘oche di Daniele Cossellu.

Intriga la capacità di Piero e Daniele di alternarsi vicendevolmente nei ruoli di Boche e Mesu-‘oche a testimoniare una esperienza della pratica quotidiana del canto a Tenore che affonda le radici nella più remota storia dell’identità bittese e sarda.

Risalta la differenza delle vocali impiegate dal Tenore del 1955 – quasi esclusivamente la o – rimasta nelle arziàdas (trasposizioni ascendenti) contro una ricca articolazione della vocale a e perfino della i per arrestare il canto nelle trasposizioni discendenti da parte della Contra di Tancredi.

Si afferma così la volontà di continuare a vivere la tradizione culturale identitaria nella rielaborazione della modernità e dello stile personale.

Torna in alto