Agli albori del folklore

Agli albori del folklore
Compact Disc del Cuncordu Fonnesu

Presentazione e testi a cura di A. Deplano
2005, Edizioni Frorìas


Il volume 5 Voci dal Gennergentu ha costituito per decenni un chiaro esempio del canto polivocale fonnese per tutti gli appassionati isolani. La sua prima versione era in lp 33 giri ma non tardò a comparire in Mk riscuotendo un lusinghiero successo di vendite durante oltre tre decenni.

La copertina del disco era costituita da una fotografia riproducente i cinque cantori fonnesi intorno ad un muflone, la stessa riproposta in questo Cd. La copertina della musicassetta ha riportato solamente un particolare dell’intera foto del disco, la testa del muflone, e così è conosciuta dal grande pubblico questa raccolta antologica dei canti di Fonni. Per la precisione, occorre specificare che il colore dello sfondo della foto del muflone cambiava ad ogni ristampa del nastro.

A produrre l’incisione era stata una casa discografica da cui nacquero, alcuni anni dopo, la Tirsu di Decimomannu di Salvatore Medinas e la AEDO (Azienda Edizioni Discografiche Originali) del rag. Pizzi di Cagliari: per tale motivo il volume rientrava nei cataloghi di entrambe le etichette fino al marzo 2002 quando la Edizioni Frorìas, nuovo nome della Aèdo, restava unica proprietaria dei diritti dell’opera.

Per svariati lustri la versione in musicassetta è stata proposta al pubblico con molteplici e gravi incongruenze nel numero dei brani e nella titolazione degli stessi: sotto il generico Sonettu, proposto come terzo brano del Lato A del disco, come anche della Mk della Tirsu, si trovano due testi poetici assai diversi per forma compositiva e per contenuto. Il primo dei due era componimento forse creato all’impronta sul tema del canto a tenore ed eseguito in due diverse modalità: come canto di improvvisazione poetica e come Boche ‘e notte. Il secondo era la ripetizione di un frammento della prima traccia.

La presentazione di quel programma di brani, per anni, ha mortificato l’intento dei cantori di dare luce al canto tradizionale dei comuni del centro della Sardegna. Gli interpreti offrivano una vasta gamma di melodie del repertorio in una unica antologia.

Nel 1998 le Edizioni musicali Frorìas, sotto la guida di Franco Madau e con la collaborazione dello scrivente, avevano proceduto ad una prima rimasterizzazione dei canti costituenti il volume sull’unica copia originale del master di proprietà Aèdo. Ripubblicato solamente nella versione in musicassetta, il nastro Mk 730 si presentava in veste grafica assai più accattivante rispetto alle precedenti: la fascetta è priva dei numerosi errori ortografici, nel risvolto di copertina si  riportano le indicazioni dei titoli delle poesie, le denominazioni delle melodie del repertorio, la durata temporale di ciascun brano, il nome della formazione di canto e nomi e ruoli dei cinque cantori. Si ripristinava la messe di informazioni contenute sulla custodia del lp 33 giri. Sfortunatamente, in quella occasione non fu possibile rimediare ad alcuni inconvenienti tecnici come il bassissimo volume della voce solista nel canto dei Gosos. A quel primo importante tentativo di pulizia del suono e soprattutto di ripristino filologico e classificatorio del programma dei brani, attuato attraverso la corretta definizione di titolo, forma esecutiva e durata, fa seguito il ritrovamento dei master originali di proprietà della Tirsu di Decimomannu. Dall’ascolto delle bobine si rilevano durate temporali assai diverse da quelle conosciute nelle versioni in musicassetta. Come la foto di copertina venne ridotta alla pubblicazione di un solo particolare, così il numero dei brani e la loro durata temporale fu costretta in versioni più contenute. Alcuni canti vennero persino tagliati sfumandone parti più o meno consistenti. Altri furono soppressi perché ritenuti superflui e inutili doppioni. Convinzione errata che trovava giustificazione solo nella ristretta capienza del supporto fonografico. Infatti, altri tre brani registrati in quello stesso giorno, confluirono nella musicassetta miscellanea TRC 160 intitolata Cori della Sardegna.

Le cassette miscellanee sono state spesso dei contenitori in cui riversare brani che non trovavano spazio nei supporti prefissi ed erano colmate da brani acquisiti da altre case discografiche (i canti di Orosei e Orgosolo prodotti dalla IPM nel 1964) e da canti che non trovavano spazio in raccolte pubblicate in precedenza (le tracce dei cori di Fonni e Ovodda). Nel programma del nastro TRC 160 compaiono due canti del Cuncordu fonnesu: Fonni fiza de su Gennargentu e Su ballu. In pratica, la prima traccia è interpretazione inedita, rispetto al disco lp 33 giri e alle Mk Tirsu 166 e Aèdo 730. La seconda esiste con lievi differenze nei supporti conosciuti, mentre la terza traccia ripropone un breve frammento del primo brano: forse per tale motivo non era nemmeno annunciata nel programma.

Nelle “pizze” dei master riscontriamo, nel canto di testi di natura religiosa, una consuetudine del canto profano de su tenore: cantare nella melodia della boche istèrria i versi iniziali del poema ripetendoli nella chiusura del canto. Nella Boche ‘e notte si inizia e si chiude una cantàta con la Boche longa. È coincidenza  particolarmente curiosa per non assurgere ad aspetto esecutivo formale: s’istèrrida del poema dei Gosos è cantata anche in chiusura dell’esecuzione. Come un suggello.

Nello spirito appena descritto questa “nuova” antologia offre il 14° brano non come banale ripetizione della 1° traccia della raccolta, ma nel rispetto di una volontà di straordinari cantori, interpreti di una forma esecutiva appresa nella pratica dell’ascoltare e del fare canto comente l’aìan semper connotu.

I testi
Si è accennato appena al contenuto delle poesie eseguite nella presente raccolta ma è, invece, opportuno esaminare più attentamente la scelta di interpretare testi dalla particolare natura compositiva e  contenutistica nelle canzoni antologizzate dal Cuncordu fonnesu.

Una prima tipologia di poemi si trovava concentrata nel lato B del supporto, disco o cassetta: essa proponeva parti di quell’esteso e ricco patrimonio di testi cantati dalle Confraternite, in profonda crisi nel secondo dopo guerra e  ridotte al silenzio dal 1962. Il fenomeno si verificò in quei comuni (salvo rarissime eccezioni, come Orosei) in cui le due componenti culturali – religiosa e secolare – avevano dato forma a due diverse espressioni canore, spesso nell’interpretazione dei medesimi esecutori. Sarà forse una risposta “popolana” per esprimere contrarietà allo scioglimento delle Confraternite, ma sia sul finire degli anni cinquanta (vedasi le inchieste etnomusicologiche di G. Nataletti e di G. Della Maria, 1958-1960) che nei primi anni sessanta (cori di Orosei e d’Orgosolo, IPM 1964-1966), cresce la necessità di non vedere perduti i poemi intonati per secoli da formazioni polivocali costituite da popolani nel corso degli appuntamenti del calendario liturgico. D’altronde già negli anni trenta si avevano esempi di esecuzioni di testi di natura religiosa da parte di cori “a tenore” (Dorgali, Edison Bell 1929).

Il canto polivocale barbaricino, “profano” per eccellenza, tanto da essere più volte cacciato nei secoli (si vedano le interdizioni ripetute nei vari Sinodi) e ancora nei primi decenni del XX secolo, dai pressi, e non solo dall’interno, delle chiese, si propone come continuatore della tradizione dei testi de sa duttrìna.

Il Cuncordu fonnesu imprime anche una connotazione paesana importante poiché inserisce nella presente raccolta i Gosos de Nostra Sennora de sos Martires: questi segnano distintivamente la scelta delle poesie di natura religiosa condivise da altri comuni dell’area di diffusione del canto a Tenore.

Le melodie
La ricerca sulle forme del repertorio del canto a Tenore di Fonni – ma anche di buona parte degli altri comuni dell’area di diffusione – muove i primi difficoltosi e incerti passi. Questa non potrà dirsi completata senza la visitazione “de audito” di ogni documento fonografico antecedente questo volume. A tutt’oggi, pertanto, avendo ascoltato i brani 11, 12, 13 e 14 del Cd “Tenores e dintorni” (registrati ad Ozieri il 28 settembre 1958) e dopo aver preso visione dell’elenco delle melodie delle inchieste di G. Nataletti (realizzate per la RAI e l’Accademia di Santa Cecilia), è possibile affermare che manca la forma dei Muttos oltre alla fantomatica forma del Ballu ‘e duos. Muttos sono stati inseriti nei volumi di ogni altra formazione di cantori fonnesi realizzati in anni successivi:  Battor moros, Monte Ispàda, Pietrino Puddu, Vrammentu.

Per quanto riguarda il Ballu de duos si attendono elementi di conferma che potranno aversi nella visitazione di raccolte di registrazioni effettuate nel corso degli anni cinquanta (F. Karlinger, F. Cagnetta, D. Carpitella, A. Lomax, G. Nataletti…). Finora solo ipotesi, non suffragate da testimonianze o dati certi, sono state espresse a proposito della traccia 45 della raccolta contenuta nel disco-libro Musica sarda (Albatros 1973) di D. Carpitella, P. Sassu e L. Sole. Tutte le altre melodie del repertorio del canto polivocale fonnese sono presenti nella raccolta.

I balli sono articolati con grande maestrìa nel perfetto stile esecutivo di Fonni. Non importa se le parole del testo poetico non sono intelligibili perché coperte dalla sovrastante creazione musicale de su tenore. Né se i vocaboli manchino totalmente nello svolgimento testuale del solista. Questo è codificato nella grammatica del tenore fonnese: il ritmo del canto è determinante per l’elaborazione musicale quanto  per la creazione coreutica. Quindi nel testo entrano versi intonati per intero e versi frammentati. Si perde l’unitarietà della tessitura linguistica,  semantica e stilistica a favore dell’intreccio delle timbriche che costruiscono la trama musicale. Si dilata il numero delle ripetizioni di parti delle poesie in una proliferazione sfrenata. La frammentazione dei vocaboli origina nuovo tessuto sonoro che impreziosisce l’armonia delle voci e testimonia l’abilità de sos pesadores. Frammento poetico di autore colto e singoli versi, distici o quartine della tradizione popolare, fondono in un unico ordito per annientare il messaggio poetico. Nel componimento che deriva dalla combinazione di parole studiate a memoria e  utilizzate come traccia per segnare un percorso ritmico in cui fare incontrare suono e parola, testo e pretesto,  colui che condivide la passione per la poesia riconosce le forme originarie e riconduce alle fonti ispiratrici. Il cerchio fra poesia e musica si stringe. Si chiude fra cantadores e ascoltatori.

Il folklore
Il Cuncordu fonnesu gruppo Enal (C. Bottaru boche, G. Busìa Lironi contra, R. Duras Corceddu mesu-voche, F. Mureddu Marreddu bassu e M. Puddu boche e mesu-voche) ha una importante figura di riferimento nella persona di Cristòlu Bòttaru. Per decenni egli ha coltivato due passioni di notevole rilievo nella sua vita di cittadino e nella sua carriera artistica: il canto e la poesia. Non a caso in lingua sarda un solo vocabolo li designa entrambi. Cantare le produzioni poetiche altrui è investire in sentimento di suono, di significato e di cultura. La compenetrazione di tiu Cristòlu nel canto era un fatto totale: chi ha seguito la sua militanza canora ne ha avuto esaurienti testimonianze.

Nel dicembre del 1995, conoscendone il percorso musicale per avere assistito innumerevoli volte a suoi concerti, lo incontrai insieme ai suoi nuovi compagni di viaggio. Mi confidò che possedeva quaderni manoscritti in cui aveva raccolto “preziosi” componimenti poetici, gare di poeti improvvisatori del passato e sue composizioni. I suoi occhi brillavano nello svelarmi il possesso di un patrimonio accuratamente custodito per lungo tempo. Parlammo senza contraddittorio, ambedue convinti dell’importanza di non disperdere quel tesoro di versi. Alcune settimane più tardi mi chiamò per telefono nell’intento di adempiere a un impegno assunto con la storia, per assolvere alla promessa fatta a se stesso di riuscire a pubblicare a stampa quei versi.

Era la dimostrazione di una squisita generosità d’animo principalmente palesata nell’affrontare la carriera di cantore per diffondere le tradizioni popolari che costituivano la sua formazione culturale: egli eseguiva versi tratti da gare di improvvisatori che appartengono ad ogni cittadino isolano e, patrimonio di tutti i sardi sono i poemi di P. Mereu e G. Pinna inseriti in ogni ballo di Fonni.

Nei versi che tiu Cristòlu ha dedicato al suo amato paese, alfa e omega di quest’antologia, si legge l’orgoglio entusiasta di un’appartenenza comunitaria e identitaria.

Un arco temporale pluri-decennale, dal giorno dell’incisione, ci costruisce una lente capace di distorcere alquanto il senso delle parole di quei versi e ce le fa apparire naïves. Il folklore delle origini, tuttavia, era segnato dall’esigenza di divulgare dei messaggi anche di promozione turistica, ma voleva soprattutto  diffondere la condivisione di passioni, sentimenti ed emozioni di cui Fonni e la Barbagia sono ancora particolarmente ricchi.

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