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PASSIONE E RAZIONALITA’ NEL BALLO SARDOUna frase sentita più volte da piccolo mi faceva sorridere dell'assurda irrazionalità de sos mannos: "Cando intendo sonu 'e ballu si mi fuin sos pedes e no mi potto mantenner". Abituato a vivere nel fermo e rigido controllo del linguaggio del corpo sentivo quella frase in forte contraddizione con la filosofia della mia pesanzia. Eppure, fin dai primi mesi di vita, ero stato abituato anch'io al movimento ritmato delle poesie cantate dai nonni e da mia madre a duru-duru. La flessuosità sulle punte dei piedi, gli scatti di gambe e di reni nella rigidità del corpo che muove verso l'alto erano ormai parte del corredo esperienziale su cui si fonda il patrimonio dei saperi comuni alla mia gente. Ogni accento contenuto nelle parole delle poesie in verso ottonario o endecasillabo o nelle onomatopeiche imitazioni degli strumenti musicali, che costituivano la dimensione del significante, produceva i movimenti articolatori del ballo quasi come brividi sfuggenti al controllo razionale. Intorno ai cinque anni un regalo continuava il senso di quella pedagogia: l'armonica a bocca. Espirando e inspirando l'aria per far vibrare le linguette metalliche contenute nei buchi quadrati di quello strumento si cercava di articolare il linguaggio musicale del ballo seguendo il "mascherone" di alcuni numeri che gli adulti ci consegnavano come paradigma della creazione musicale: 30, 40, 100, 91. Trìnta, barànta, chèntu, novantùnu costituivano la formula magica della stesura iniziale del Ballu Torrau. Acquisita quella formula de Istèrrida era possibile procedere alla ripetizione della seconda frase paradigmatica costitutiva della Torràda e il cerchio della comunicazione fra significato e insignificante si chiudeva per disporci, con il sorriso, alla produzione autonoma delle frasi musicali per il ballo. Marìdu chèret e no nde li dàna era la frase che ci incuriosiva e nel divertirci stimolava alla ripetizione del messaggio. A chi si riferiva il contenuto di quella Torràda? Ingannati dalla curiosità si continuava a versare aria e saliva nello strumento-giocattolo fino ad imparare la costruzione delle frasi che compongono la lingua del ballo. Stendere per intero la prima frase non basta: la sola Istèrrida rimane sospesa, come una frase interlocutoria. Occorre ripeterla più volte per stabilire il ritmo e raggiunto questo si deve introdurre la seconda frase, sa Torràda. Eseguire queste due frasi, ripeterle nella giusta scansione periodica significa entrare nella dimensione del gioco di produzione ritmico-musicale per affermare abilità creativa e competenza esecutiva. Ma il gioco non vive di sola ripetizione. La sua affermazione si realizza nella capacità interpretativa costruita nella consapevolezza della trasgressione, e del superamento, delle regole grammaticali comuni a ogni forma comunicativa del quotidiano, dunque anche del ballo. Si spezzano le frasi in frammenti riconoscibili, si prolifera nel numero che si ritiene opportuno fino al limite della riconoscibilità testuale, si espande con riproposizioni lineari o rovesciate e invertite: si fiorisce e orna di espressioni stilistiche per assegnarle un tratto distintivo, personale. Un marchio di riconoscimento attestante la paternità. La conferma della abilità nella creazione musicale si raggiunge nella verifica dell'esecuzione coreutica. A sas nodas prodotte dallo strumento trovano corrispondenza i passi dei ballerini, le battute dei loro tacchi al suolo, le accelerazioni del ritmo e le evoluzioni dei corpi dentro il cerchio introverso. Si stabilisce una stretta identità fra suono e movimento. Alla geometria dei passi giocata fra stabilità del corpo e fioritura delle figure aggiuntive disegnate dalla punta del piede destro portato in avanti e indietro, su entrambi i lati del sinistro fisso al suolo, corrisponde l'architettura sonora articolata su frasi essenziali sviluppate in ripetuti frammenti di queste per aprire nuovi percorsi. Gli accordi dello strumento si fondono ai ritmati rumori dei passi de su ballu in un unico, ricco e complesso intreccio armonico. Scattano sincronicamente decodifica e produzione di suono e passo nel sistema percettivo dei sardi per realizzare la chiusura del cerchio dei corpi del ballo fra esercizio fisico personale e momento di aggregazione sociale, per conoscersi e riconoscersi nel movimento e nel segno circolare. La testimonianza più esplicita della circolarità, quale segno distintivo della struttura culturale antropologica, si evince in maniera inequivocabile nello studio dei balli sardi. La competenza elaborativa delle espressioni artistico-culturali del popolo sardo risiede nella capacità di mettere a punto delle forme compositive essenziali, rivisitabili dall'interno del profondo solco della tradizione in modo da attribuire ogni volta nuovo vigore espressivo, per riconoscerle e sentirle sempre attuali nonostante il lento trascorrere dei secoli. La vera invenzione è nella particolare conformazione basilare della loro grammatica: fittamente intrecciata, fortemente tessuta, solidamente verificata, largamente estesa a tutti gli innumerevoli codici espressivi. All'origine di tutto sta la ricerca-assunzione di due strutture linguistiche ineludibili per gli isolani: s'Istèrrida e sa Torràda. Sono l'alfa e l'omega della comunicazione sarda. Appartengono alla letteratura de sos contos de foghìle e alla poesia, al canto e al ballo, al linguaggio quotidiano e alla produzione musicale: l'una non vive separata dall'altra. Si produrrebbe il divario, si accenderebbe il debito, si scaverebbe l'incolmabile fossato dell'incomprensione, si scatenerebbe la lacerazione dei rapporti. Queste due strutture costituiscono l'alveo entro il quale maturano le creatività espressive determinate nella costruzione della abilità esecutiva, nello sviluppo del gusto estetico personale, nell'affinamento delle tecniche e degli stili, nell'espansione della forza rielaborativa misurata fra l'aderenza a su connottu e l'invito alla rilettura, nella consapevolezza del gradimento-accettazione fra il pubblico-consumatore. Si inizia con l'acquisizione della passione per l'espressione che si matura nella abilità della pratica dell'ascolto, nella pedagogia dell'osservazione, nell'attenzione alla comprensione dei codici componenti i più svariati linguaggi. Di sicuro i primi modelli si trovavano nella natura della nostra isola. L'imitazione di quei linguaggi e di quelle forme ha costituito la prima modalità di approccio per l'uomo. Acquisita la padronanza delle strutture portanti, che compongono il linguaggio artistico-espressivo, si passa alla fase di produzione creativa in cui gli attori procedono all'elaborazione di stili personali attraverso i quali lasciare una impronta indelebile nella memoria dei propri simili. E' una grande impresa di natura estetica che riesce solo nella misura in cui il neo-produttore è stato capace di osservare, comprendere, imparare e rielaborare le forme espressive del popolo riuscendo a rileggerle senza tradirle. In quel momento l'attore del "nuovo" linguaggio diventa il modello per tutti coloro che intendano, in quella collettività, perpetuare quei percorsi identitari. Ignazio Erbì è da considerarsi un modello per chiunque, oggi, voglia accostarsi con amore alla conoscenza delle forme e degli stili esecutivi del ballo sardo. Sua è la sapiente competenza di eseguire facendo scivolare le abili dita della mano destra sui tasti della fisarmonica come sulle canne della mancosa e della mancosedda per creare dialogo con le dita della mano sinistra che accarezzano i bassi come nella lunga canna del tumbu. Il suo nome è strettamente legato alla storia del ballo nella memoria del suo paese natale come di tutta l'area campidanese e dell'intera isola. Imitare si propone come modello pedagogico per creare nuova espressione anche nel ballo. I movimenti del corpo degli animali, i loro balletti di corteggiamento, le loro sfrenate corse ora in avanti e subito dopo indietro, gli stacchi improvvisi da terra verso l'alto e il loro ricadere con grazia sul suolo rivivono nell'espressione coreutica di balli dei paesi dell'interno dell’isola. Si distinguono i balzi sulle punte dei piedi che manifestano agilità di giovani animali felici: è l’inno alla vita intonato dallo scontro delle corna - istumburinadas - di mufloni per annunciare l'arrivo della pioggia. La sonorità della natura è il sema del vocabolario delle tradizioni musicali sarde: l'onomatopeico istumburinare delle corna ritorna nel tumbare una 'oche del canto a Tenore, nel tumbare su ballu, nel Tumbu (la canna più lunga che emette il suono continuo di bordòne) delle Launeddas, in su Tumba-rinu, strumento a percussione diffuso nell'intera isola.
LE REGOLE DI
PARTECIPAZIONE
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